Jacopo ci racconta la fatica di provare a portare un po’ di ragionevolezza in Val di Susa, la fatica di convivere con studi falsati da interessi poco chiari e con progetti assurdi. Sono vicino a lui e a chi come lui tenta di far qualcosa lì dove è pericoloso. Rispetto il dolore dei familiari di Luca Abbà e trovo vergognoso e ripugnante chi se la prende con un ferito che rischia di morire, ma trovo altrettanto sbagliato trasformare in un eroe chi si è fatto male tentando di danneggiare un bene pubblico. Jacopo dice che “Luca ha ritenuto che l’unico modo per manifestare il suo dissenso fosse salire su quel traliccio”. Pur rispettando lui, il suo dolore e quello dei suoi familiari abbiamo il dovere di dire che si è sbagliato e che quello non è un modo accettabile per manifestare dissenso.
E dobbiamo dire con altrettanto coraggio che non è pensabile essere conniventi con coloro che provocano i poliziotti o li insultano. I poliziotti in Val di Susa non sono esponenti dell’impero del male, sono rappresentanti di uno Stato democratico e sono in genere dei poveracci che guadagnano una miseria.
Ricordarci questa cosa non è irrilevante e porta a un altro punto essenziale della questione: siamo uno Stato di diritto in cui ci sono organi eletti democraticamente che hanno il diritto/dovere di prendere decisioni. Chi non concorda con queste decisioni ha tutto il diritto di manifestare pubblicamente il suo dissenso, ma non ha e non può avere il diritto di bloccare un cantiere con la violenza.
Se lasciamo passare il principio che una minoranza agguerrita può occupare (anche pacificamente) un cantiere e bloccarlo e nessuno può intervenire è la fine. Non faremo mai più nulla, perché ci sarà sempre qualcuno contrario. Non si può chiamare resistenza l’illegalità. Non c’è differenza tra chi chiama resistenza chi blocca le strade e chi chiama resistenza chi resiste al fisco. Nessuno può arrogarsi il diritto di violare una legge perché secondo lui è sbagliata.
Si tratta di riportare la Val di Susa (e il Paese intero) in una situazione di legalità, ma senza invocare azioni estreme (c’è chi invoca l’intervento dell’esercito senza rendersi conto di cosa voglia dire iniziare una guerra civile). Il clima di odio va stemperato allontanando i facinorosi e ricominciando a ragionare, creando tavoli tecnici veri e allontanando gli specialisti degli appalti mangia soldi.
La Val di Susa è un disastro in questo momento:
La vicenda della Tav racchiude in sé ed esemplifica tutti i difetti della società italiana. Una decisione presa senza consenso e mantenuta nonostante ragionevoli dubbi. I ragionevoli dubbi che lasciano il passo a contestazioni sempre più scomposte, fino a diventare ostaggio dell’ideologismo e delle violenze. Una intolleranza genetica per il dissenso, da una parte e dall’altra. La creazione mitologica dell’eroe o del ‘cretinetti’, delle ‘pecorelle’ e del Simbolo Ineffabile della Giustizia e della Sicurezza. Un certo giornalismo che si trasforma in macchina per odio e insulti alla ‘fecciarossa’. La condanna qualunquista del giornalismo in toto, in reazione, che fa riemergere minacce in stile brigatista e aggressioni ai reporter. La democrazia che è sempre e solo la propria. L’assenza dello Stato. L’inconsistenza della politica. Il fascismo da social network. I fatti che lasciano spazio all’alimentazione delle tifoserie. L’incapacità, radicale, di ascoltarsi, tollerare, capire. E’ una vicenda triste, in cui perdiamo tutti. E che nutre ed esaspera quella guerra strisciante tra poveri che si annuncia – e già si intravede – se il nostro benessere materiale dovesse continuare a scemare. Rivelando tutto il vuoto intellettuale, di idee, di capacità di rinnovamento, di spirito, che attanaglia questo Paese in preda alla rassegnazione.
Tocca alla politica locale e nazionale offrire soluzioni e ai valsusini riportare la loro valle nella legalità, non esistono alternative. A meno di non considerare un’alternativa lo sfascio totale.
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