“Mancano ancora sanità e cemento”. A parlare è Roberto Saviano riferendosi a Mafia Capitale. Il celebre scrittore anticamorra non ha dubbi sul fatto che l’inchiesta sia solo all’inizio. Quanto emerso fino ad oggi, afferma Saviano, “era il lato che riguardava burocrazia, politica e gestione dell’immigrazione, mancano tutti gli altri passaggi”, che sarebbero relativi, appunto, alla sanità e ai lavori pubblici. Settori in cui, continua Saviano, “senza corruzione non parte niente”.
La parola “mafia” può impressionare, soprattutto se affiancata alla capitale d’Italia, come sottolineato da Diego Bianchi, conduttore di Gazebo, a cui Saviano ha concesso un’intervista andata in onda durante la puntata di ieri sera, 12 giugno. Tuttavia Saviano, che vive tutt’oggi sotto scorta a causa del suo libro-denuncia sulla camorra, divenuto best seller internazionale, Gomorra e per la sua complessiva attività letteraria, giornalistica e culturale di denuncia del fenomeno mafioso, non ha dubbi.
Saviano: “E’ tutto merito di Pignatone”
Nel caso dell’inchiesta romana non si può non parlare di mafia ed è stato possibile comprenderlo grazie al procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, ed al suo metodo che potrebbe cambiare la storia di Roma. “Il metodo Pignatone – afferma Saviano – ha permesso di comprendere il meccanismo che univa l’organizzazione criminale romana alle organizzazioni criminali calabrese, campana e siciliana”. Di queste ultime, a Roma si sarebbero replicate l’azione e la prassi militare, ed economico- politica.
Il merito di Pignatone, secondo Saviano, è quello di aver saputo trovare l’anello di congiunzione tra una miriade di fatti criminali per riportarli tutti a sistema. Questo è fondamentale perché elimina il rischio di parcellizzare o minimizzare i fatti, relegandoli a fatti isolati, a “tangentine”. Ormai ogni evento criminoso, per Saviano, potrà essere ricondotto ad una specifica costellazione di corruzione complessiva e sistemica.
“Mafia romana e mafia milanese”
Saviano mette in rilievo come l’inchiesta romana sia “figlia” di quella sull’Expo milanese, realizzata da Ilda Boccassini e finalizzata a dimostrare che “in Lombardia c’è una mafia milanese, lombarda di derivazione calabrese e ‘ndranghetista”. Per Saviano “non esistono più le “colonie” come è stato fino agli anni 2000” delle mafie del mezzogiorno, trapiantate al centro nord, come a Roma o a Milano. “Adesso – prosegue Saviano – questi territori esprimono una loro mafia”, autonoma rispetto a quella del mezzogiorno.
Lo scrittore porta ad esempio un’intercettazione telefonica di Massimo Carminati, principale protagonista dell’inchiesta, il quale tiene a sottolineare come lui non sia uno tra i narcotrafficanti, ma una persona in grado di risolvere i loro problemi. Per farlo non chiede denaro. Il suo guadagno consiste nel potere, nel comandare su Roma, dimostrando – afferma Saviano – un “ruolo organizzativo-militare autonomo” rispetto ai grandi clan del sud.
Un’altra riflessione Saviano la dedica ad uno dei cortocircuiti più stupefacenti emersi dall’inchiesta romana: “Più sei zozzo, più fai carriera”, afferma lo scrittore. Sia Carminati, sia l’altro principale attore di Mafia Capitale, ovvero Salvatore Buzzi, infatti, vantano un passato criminale iniziato ben prima dell’attuale inchiesta. Tuttavia, secondo Saviano, paradossalmente, gli elementi contraddittori della loro biografia sono stati spesso il loro scudo, se non addirittura la loro forza, contro le accuse mosse dai giornali e dall’opinione pubblica. “I peggiori riescono a farcela – prosegue Saviano – perché spesso le campagne mediatiche non riescono a buttarli giù”.
“Nessuno è intervenuto prima”
Rispetto al ruolo della politica, Saviano fa notare come nessun politico sia intervenuto finché non è scattata l’inchiesta. Lo stesso Orfini, una volta nominato commissario straordinario del PD di Roma, avrebbe dichiarato che la guerra fra bande nel partito romano fosse cosa nota. Perché dunque non si è scelto di intervenire prima dell’intervento della magistratura?
Infine, un appunto sulla Campania, regione in cui, pur di vincere le recenti elezioni amministrative, Renzi avrebbe scelto di non aprire una riflessione profonda sulla questione giudiziaria legata al candidato ed ora vincitore De Luca. “Si rinnova solamente perdendo”, afferma convinto Saviano. Non si cambiano le facce dei dirigenti politici locali perché non si vuole perdere. Questo, però, significa tenere ancora in vita il voto di scambio.