Cosa accomuna un novello Imam, un occidentale convertito all’Islam e un’affascinante franco-turca? Il fatto che le loro vite cambieranno a causa ( o per merito) di una moschea. L’evento metterà infatti in subbuglio la piccola comunità musulmana di Venezia. Pitza e datteri, del regista e sceneggiatore iraniano di origine curda Fariborz Kamkari racconta i molteplici – e strampalati – tentativi escogitati dai fedeli per riappropriarsi del loro luogo di culto.
Dopo la fine del suo matrimonio, la parrucchiera Zara (Maud Buquet) decide di vendicarsi del marito. Così, sfratta la comunità e decide di aprire un salone unisex. Nel frattempo, a Venezia arriva un giovane Imam (Mehdi Meskar) mandato dall’Afghanistan per risollevare le sorti e l’umore del gruppo di fedeli. Questi però sono talmente tanto allo sbando che sembrano l’armata Brancaleone, perciò gli sforzi dell’anziano presidente Karim (Hassani Shapi) di mantenere il gruppo calmo e lucido si rivelano vani.
L’Imam Saladino ha un’idea alquanto confusa circa quale sia il modo migliore per difendere i propri diritti di musulmani. Peraltro, tra il nobile decaduto Bepi (Giuseppe Battiston), il pizzaiolo africano Aziz (Gaston Biwolè) sposato con un’egiziana e il curdo senza casa Ala (Giovanni Martorana), non si può certo dire che la comunità sia caratterizzata da intelligenze sopraffine. Così, una situazione paragonabile a una polveriera “esploderà” nel modo più imprevedibile.
Pitza e datteri rappresenta il tentativo di Fariborz Kamkari di misurarsi con il genere della commedia, dopo I fiori di Kirkuk. Così, il regista ha scelto di affidarsi a una Venezia altra rispetto all’immagine da cartolina che i media ripropongono quotidianamente da anni. Ghetto, Marghera, Dorsoduro, sono queste le facce della città su cui si è concentrato, avvalendosi di una fotografia estremamente efficace ma mai autocompiaciuta.
Giuseppe Battiston ha raccontato: «sono state belle levatacce. Abbiamo girato tra settembre e ottobre del 2014 dopo la Mostra del Cinema e a ridosso della Notte dei Foghi».
A proposito della scelta della città e di uno dei principali attori, Fariborz Kamkari ha dichiarato: «Venezia è stata sempre un crocevia di culture, la porta dell’Europa verso l’Oriente. Allora sembrava inevitabile ambientare un film, questa storia, a Venezia. Poi è una città estremamente bella che rendeva più credibile la trasformazione interiore del protagonista. Giuseppe Battiston è stato l’unico protagonista italiano del film, il personaggio più fanatico e integralista, da italiano convertito. Perché da una parte potevo toccare questo argomento, pensando a chi ha una interpretazione così violenta dell’Islam non ha necessità della religione. È una persona che, respinta dalla sua città, cerca una nuova appartenenza. E la fratellanza islamica regala una grande senso di appartenenza, e diventa un fanatico perché vuole essere contro tutto e tutti. In questo modo trova la scusa giusta per essere contro. Battiston è stato coinvolto fin dall’inizio nella scrittura, per renderlo credibile agli occhi del pubblico italiano nel suo essere estremo».
La colonna sonora, invece, è stata affidata alla multietnica Orchestra di Piazza Vittorio, e la scelta, evidentemente, è ricca di significati simbolici, considerando i temi trattati. Pitza e datteri parla infatti delle difficoltà insite nella convivenza tra culture diverse, ma anche e soprattutto di donne. Sono loro, secondo il regista, «la vera forza dei cambiamenti». Il cuore pulsante della storia, sotto tutti i punti di vista.
Tuttavia, anche se a malincuore, e nonostante l’interpretazione di Battiston, il film non convince. Le battute sono infatti caratterizzate da una comicità fiacca, una sorta di fiato corto. Gli spunti per donare allo spettatore uno sguardo graffiante e originale sulle questioni trattate non mancavano, sia dal punto di vista della forma che del contenuto. Tuttavia, la sensazione è che il regista non abbia voluto giocare fino in fondo le sue carte. Peccato, aver sprecato così un mix di occasioni che difficilmente si ripresenteranno tutte insieme.