Le parole di ieri del premier Matteo Renzi sulle primarie democratiche (“Dipendesse da me la loro stagione sarebbe finita“) hanno scatenato all’interno del Pd un accesso dibattito tra chi le difende e tra chi le vuole accantonare. Tra i fedeli delle primarie troviamo Arturo Parisi, che a Repubblica, confessa la sua incredulità per il cambio di rotta impresso dal capo del governo. “Non riesco a crederci. Un cambiamento di linea di questo rilievo. Dopo il tempo del Renzi cambiaverso non riesco ad arrendermi all’ idea di un Renzi che ricambiaverso. E poi perchè? Per un turno parziale di amministrative. Spero proprio che ci ripensi. Da Renzi me lo aspetto. Renzi – aggiunge Parisi – è il testimone vivente dell’ utilità delle primarie. Sono lo strumento grazie al quale lui ha potuto alzare la mano e dire io. È grazie alle primarie che lui è riuscito a diventare sindaco di Firenze, segretario del Pd e presidente del Consiglio. Se lo facesse davvero sarebbe un ripensamento totale dell’ idea stessa del Partito democratico, quella in nome della quale è sceso in campo. Il partito sarebbe snaturato e perderebbe uno degli elementi della sua novità, della sua originalità”.
Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd, chiede che le primarie non vengano “trasformate in conte interne, perchè poi si vince dentro, ma fuori si perde” come nel caso di Casson a Venezia.
Ma non solo le primarie sono al centro della discussione in casa Pd. Anche la rotta da seguire (spostamento verso il centro o a sinistra) per ampliare i consensi e ritornare a quota 40% occupa i pensieri dei democrat. Per Nicola Latorre “il risultato delle Comunali segnala una evidente difficoltà per il Pd, che sarebbe miope e ipocrita non cogliere. La risposta non è in alcun modo una rinuncia alla rotta intrapresa con la leadership di Renzi, ma non può essere una svolta a sinistra”. Tanto da ipotizzare una riedizione del patto del Nazareno. “Il patto del Nazareno – precisa il senatore dem al Corriere della Sera – appartiene al passato, però – sottolinea – bisogna aprire al dialogo con Berlusconi. Lui non può e non deve sottrarsi al confronto e noi dobbiamo ascoltare le proposte che arrivano da quella parte”. “Il tema – spiega – non è infilarsi nei meandri delle divisioni del centrodestra, è stabilire un rapporto esplicito. Per tagliare il traguardo delle riforme non basta raccogliere numeri, serve allargare il consenso”.
Non è della stessa idea di Latorre, Enrico Rossi, governatore Pd della Toscana, secondo cui il Partito della Nazione è finito prima di cominciare. ” È il caso invece di provare ad essere il partito della sinistra nuova. Vince chi occupa il centro ma non perde a sinistra. Sarebbe un grave errore ignorare la delusione che emerge dall’astensione record e dai tanti segnali di disagio della società”. Ma per Stefano Fassina ormai il dado è tratto, le elezioni sono vicine. “Mi sembra di rivivere le ultime settimane del governo Letta, quando un giorno sì e l’altro pure il neoeletto segretario Renzi attaccava il governo” confessa a Repubblica il deputato dem, Quanto al premier, “ho letto la disinvoltura delle sue dichiarazioni, la considero un atto di irresponsabilità. Che non ha effetti sul ceto politico, ma sui lavoratori, sento aria di elezioni”.