Tutti, tranne i giovanissimi, ricordano le scene del 1991 con le navi piene di profughi albanesi al largo della Puglia, poi accolti nello stadio di Bari a migliaia. Erano in fuga da uno Stato in dissoluzione dopo la fine della feroce dittatura comunista che aveva isolato il Paese dal mondo.
Gli anni ’90, come negli altri Paesi ex socialisti, furono durissimi, si sfiorò anche la guerra civile tra sostenitori dei Democratici e dei Socialisti, in realtà tra bande che cercavano di accaparrarsi quei pochi traffici e affari possibili nel Paese.
Dal 2000 la situazione ha cominciato a cambiare: l’aumento annuo del PIL è stato di oltre il 6% in media dal 2000 al 2009, rimanendo sempre positivo però anche negli anni successivi di crisi europea, come vediamo di seguito dall’elaborazione di Exportiamo.it.
Nel 2015 si dovrebbe avere tra l’altro una crescita del 3,3%
Una crescita che è riuscita a portare la percentuale di persone sotto la soglia di povertà al 12,4%, con solo il 2% delle persone in povertà estrema.
Complice è stata anche l’attivazione di una pacifica alternanza al governo, con il ritorno al potere negli anni 2000 del primo presidente democratico, il controverso Berisha, conservatore, succeduto dall’ex sindaco di Tirana, il socialista Rama, già molto popolare per la sua attività di riqualificazione della capitale, un ex pittore, Rama è convinto nella necessità di aprire l’Albania al mondo e agli investimenti stranieri.
Come segretario del Partito Socialista, formalmente il successore del partito comunista al potere fino al 1991, in realtà come spesso accade all’Est, non si è distaccato dal corso liberista dato all’economia albanese da molti anni, ma anzi lo sostiene.
Forse in Italia molti, pensando all’Albania, hanno ancora in testa i profughi dei primi anni ’90, ma non i tanti imprenditori che hanno deciso di trovare oltre Adriatico una nuova frontiera da cui ricominciare, o verso cui approdare per sfuggire alle secche del declino italiano.
Sono circa 400 aziende italiane, più due grandi banche, Intesa-San Paolo (terza del Paese) e Veneto Banca, e alcuni gruppi medio grandi nel settore cemento, agroalimentare ed energia, come Italcementi, Colacem, Coca Cola (controllata al 72% da italiani), Conad, Gruppo Sol e Gruppo Pir.
In particolare cosa spinge le imprese italiane a trasferirsi in Albania? L’ambasciatore italiano a Tirana Gaiani riassume succintamente in 5 punti per Shqiptari.net:
– Il costo della manodopera, che è di 250€ circa al mese per un operaio, e si tratta di manodopera di buona qualità
– La tassazione bassissima, vige una flat tax al 15%
– E’ vicina all’Italia
– L’italiano è molto conosciuto
– I costi di trasporto verso il nostro Paese sono ridotti.
In particolare va sottolineata la flat tax al 15%, possibile in Albania e solo lì grazie a una struttura socioeconomica che vede l’età media del Paese essere di 29 anni, mentre per l’Italia è 43, e quindi certo non soffrire la necessità di una spesa pensionistica come quella italiana. In un certo senso lo Stato albanese è nato da poco e da zero, non vi sono diritti acquisiti e una spesa pubblica fissa e incomprimibile, ma può seguire la crescita, che ad oggi non manca.
E così come vediamo di seguito aumentano anno dopo anno le esportazioni italiane in Albania
Un fattore importante è anche la sempre maggiore capacità di spesa degli albanesi: se lo stipendio di un operaio è di circa 250€ al mese, lo stipendio medio in generale era di 375€ nel 2013, in crescita rispetto ai 107€ del 2000! Le automobili sono 500 mila, per una popolazione di 2,8 abitanti, contro le 15 mila di metà anni ’90.
L’albanese più benestante si orienta sempre più verso l’acquisto di prodotti made in Italy di alta qualità, non solo nel food e nella moda, ma anche nella meccanica e nel campo dei materiali per l’edilizia.
L’influsso italiano, che a questi livelli diventa anche culturale, è ben visibile dal seguente grafico che mostra la quota di interscambio sul totale dell’Italia a paragone degli altri principali partner dell’Albania
Un punto debole della presenza italiana deriva dai limiti dell’economa albanese, ovvero i settori di intervento in Albania, che sono concentrati in settori con margini non altissimi, come l’edilizia e il tessile/calzaturiero, come vediamo nella torta di seguito:
Delle eccezioni sono Banca Intesa e Veneto Banca con 20 filiali ciascuna, che sono una base importante per l’attrazione di altre aziende, di settori possibilmente a maggiore valore aggiunto in futuro.
Intanto la fuga verso il nuovo Eldorado continua, anche se non senza disavventure, come nel caso di Agon Channel , alcune aziende italiane stanno anche trasferendo impianti dall’Asia nella vicina Albania, e il vero salto sarà quando si passerà dai call center e dalle fabbriche di scarpe all’IT, sempre che l’Italia stessa sia un player in questo campo.