Difficilmente gli appassionati di politica riescono ad apprezzare le serie tv o film che trattano questo tema. Un’affermazione che può sembrare paradossale, ma che invece risulta essere più scontata delle apparenze.
Nella quinta puntata della serie “House of Cards” il capogruppo alla Camera Frank Underwood (interpretato dal Premio Oscar Kevin Spacey) assiste ad una riunione elettorale in cui ad un certo punto la responsabile dell’ufficio demoscopico afferma la seguente frase: “questi sono gli stati, a novembre ci saranno le elezioni di mid-term”.
Ora, vi sembra possibile che in una riunione tra parlamentari del Congresso Usa una sondaggista possa pronunciare una frase di questo tipo? Ci sono appassionati politici guatemaltechi che sanno benissimo che le elezioni di medio termine solitamente si tengono nel mese di novembre. Figurati il capogruppo dei democratici alla Camera!
Nel film di e con George Clooney “Le Idi di Marzo” c’è una scena in cui lo spin doctor (Philip Seymour Hoffman) dice al candidato alla presidenza (Clooney) che occorre assolutamente assegnare un incarico a quel politico in quanto figura fondamentale per vincere nello stato dell’Ohio. Un altro colloquio irrealistico, perché nella vita reale non potrebbe mai avvenire. Trattasi di tutte informazioni che qualsiasi politico del mondo già sa e se vengono esposte in questo modo sul grande schermo (o in tv) è perché gli sceneggiatori devono spiegare a tutti i telespettatori alcune dinamiche politiche. Anche a chi non mastica politica tutti i giorni o è del tutto estraneo ad alcune dinamiche.
E proprio questo il motivo per cui un vero appassionato di politica difficilmente riesce a mitizzare un film su questo argomento.
Nonostante tutto, per quanto riguarda “House of Cards”, sta facendo discutere un aspetto che occorrerebbe approfondire: il fatto che il protagonista Underwood sia un democratico che si trova ad agire in una posizione di maggioranza (nel senso che il partito dell’asinello controlla sia il potere esecutivo, col Presidente, sia quello legislativo col Congresso). Nei film o nelle serie tv che trattano di immaginari presidenti Usa quasi sempre quest’ultimo è dal credo democratico.
Come si spiega questa tendenziale scelta degli sceneggiatori americani?
Secondo alcuni si spiega per il fatto che attualmente l’inquilino della White House è un esponente del Partito Democratico e in questo modo, trattandosi comunque di un racconto di fantasia, la storia potrà apparire agli occhi dello spettatore meno inverosimile di quanto già è.
C’è però un altro aspetto molto più politico che spinge verso una scelta di questo tipo: nel tessuto politico statunitense il Partito Democratico tuttora assume caratteristiche maggiormente “generiche” rispetto ai repubblicani. Nel senso che mentre i Repubblicani tuttora vengono visti come un blocco omogeneo (al limite divisibile secondo la vecchia linea di frattura realisti nixoniani vs conservatori reaganiani) i democratici risultano essere una realtà ben più eterogenea in cui può starci dall’idealista convinto al cinico Underwood. Questo anche per la frattura tra democratici del nord e del sud che, come evidenziò in maniera plastica la candidatura di George Wallace alle presidenziali Usa del ’68, rendono il fronte del’asinello un mare magnum a tratti difficilmente inseribile nel progressismo mondiale.
Per fare un esempio di casa nostra alla vigilia delle elezioni europee: se Frank Underwood fosse un temibile capogruppo (o anche più semplicemente un capodelegazione nazionale) al Parlamento Europeo gli sceneggiatori non lo collocherebbero nel Partito del Socialismo Europeo, ma in quello dei Popolari.
Come i repubblicani negli Usa vengono visti come un blocco meno eterogeneo, i socialisti europei (a parte il particolare caso del Pd renziano) si limita a rappresentare i “socialisti, socialdemocratici e laburisti europei”. Tre termini per una famiglia comune. Il Popolarismo europeo invece rappresenta una serie di culture diverse tra loro e a tratti inconciliabili: dal popolarismo tedesco alla Adenauer al vecchio gollismo quanto mai scettico nei confronti di una reale integrazione europea. Per non parlare poi di Forza Italia o di un movimento simil-autoritario come il Fidesz ungherese.
Solo negli ultimi tempi con l’uscita dei civici cechi e dei conservatori britannici il Ppe ha assunto una sua fisionomia più specifica. Ma resta pur sempre una forza fin troppo plurale. In grado di rappresentare tutto. E quindi anche niente.
Insomma: il partito adatto per un Frank Underwood del Vecchio Continente!