L’ultima esperienza da scrutatore ai seggi (le contestate comunali di Voghera) m’ha fatto molto riflettere sull’assurdità delle leggi che disciplinano le elezioni amministrative e regionali in Italia. Non ero al Cottolengo in compagnia di Amerigo Ormea eppure ho visto tanti elettori che non avevano la benché minima idea di come si votasse. Il momento dello spoglio, quando si contano le schede annullate, ha poi confermato la complessità dell’ordinamento, che risulta incomprensibile ad elettori e, spesso, anche a chi dovrebbe conoscerne perfettamente il funzionamento per garantirne la corretta applicazione.
Voto disgiunto, doppia preferenza (ma che ne è stato del referendum sulla preferenza unica del 1991?), coalizioni confondono l’elettore favorendo, però, il voto clientelare (così d’Alimonte: “il voto di preferenza favorisce clientele e gruppi organizzati, sia quelli legali che quelli criminali”) e il trasformismo (la maggioranza delle liste “civiche” coalizzate ai partiti tradizionali è stato lo strumento che ha consentito passaggi di schieramento dei peggiori politicanti).
L’Italicum (legge n. 52 del 2015), pretestuosamente criticato nei suoi punti migliori e non per i suoi vistosi limiti, non elimina le preferenze (e nemmeno le candidature plurime) ma indica la strada che dovrebbe essere percorsa per uniformare il sistema elettorale italiano:
1) eliminare voto disgiunto e coalizione elettorale, imponendo che al candidato Sindaco o Presidente non sia collegata più di una lista, per eliminare il fenomeno delle finte liste “civiche”;
2) ripensare il sistema di liste bloccate (che non scandalizza nessuno, né in Germania, né in Francia, né in Spagna né nel resto d’Europa) per sradicare il clientelismo che vizia il funzionamento del processo democratico;
3) introdurre una soglia di sbarramento congrua per evitare che poche decine di voti si traducano in seggi e, potenzialmente, rendita e potere.
La disciplina dell’elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale (legge n. 81 del 1993) può essere emendata con legge ordinaria. Le disposizioni che regolano le elezioni regionali (legge n. 43 del 1995), invece, sono state profondamente modificate dalle Regioni cui, tra il 1999 e il 2001, è stata devoluta la possibilità di disciplinare la propria normativa elettorale e sarà quindi necessario introdurre il correttivo con una legge costituzionale. In ogni caso, vale la pena muoversi.
Dalla chiarezza e dalla semplicità del sistema elettorale derivano la qualità e la credibilità delle istituzioni democratiche. Renzi, cui certamente non manca l’ambizione, può dimostrare, coi fatti, di avere una chiara idea di come riorganizzare l’architettura istituzionale del Paese. Messa da parte la propaganda che s’è rivelata inutile e dannosa, se vuole cambiare davvero, dovrebbe intervenire coerentemente.
Andrea Enrici