La conversione di Feltri: “Crozza mi era antipatico, ora mi sono ricreduto”
Solo gli imbecilli non cambiano idea. E’ un detto che va per la maggiore quando bisogna giustificare un cambio di rotta repentino. Non ne è immune neppure Vittorio Feltri che in un editoriale su Il Giornale, annuncia la sua inattesa, conversione. La religione, però non c’entra. Si tratta di comicità, più precisamente di personaggi comici. Feltri si è invaghito di Maurizio Crozza, o almeno, del personaggio che irride. Quel Matteo Renzi con i dentoni e lo slogan facile che il comico ligure sbertuccia davanti alle telecamere di La7.
Premessa doverosa. A me Maurizio Crozza era antipatico (alcuni anni fa) e non faceva ridere. Lo trovavo irritante quando introduceva Ballarò con spiritosaggini che procuravano il latte alle ginocchia.
In una circostanza, m’invitò a un suo programma – non ricordo quale – e mi guardai bene dal rispondere affermativamente. Mi sono ricreduto. Le sue performance su La7, nel Paese delle meraviglie , oltre a essere esilaranti, hanno un contenuto così intelligente e paradossalmente veritiero da indurre lo spettatore a scoprire, attraverso gag e imitazioni formidabili, aspetti della realtà che gli erano sfuggiti.
Due battute al fulmicotone di Crozza hanno un valore cognitivo nettamente superiore a qualsiasi editoriale pubblicato sui giornaloni nazionali. In pratica, quest’uomo col faccione più adatto al banco di una salumeria che al video, a onta della brutta presenza si dimostra il maggiore politologo di cui dispone il nostro sgangherato Paese, incline a credere alle parole dell’ultimo bischero insediatosi ai vertici della politica. Maurizio è geniale. L’unico compatriota capace di cogliere tempestivamente la stupidità di coloro che pretendono di guidare il Paese senza averne la competenza.
Ogni volta che egli fa il verso a qualcuno, e ne traccia la caricatura, colpisce nel segno: non si limita a strappare risate, che pure sono utili al fine d’intrattenere lo spettatore, ma rivela la cruda verità che di norma la nostra superficialità c’impedisce di osservare. Un esempio chiarificatore. Non appena Matteo Renzi irruppe sulla scena, parecchi italiani ne furono affascinati.
Piacevano la sua sfrontatezza, l’eloquio disinvolto ed efficace. Il Rottamatore era una novità allietante e suscitava speranze eccessive, al punto che alle elezioni europee dello scorso anno raccattò un numero di voti talmente esorbitante da fare gridare al miracolo. Rimasero impressionati dal risultato perfino i numerosi suoi detrattori militanti nel Partito democratico: ammutoliti, ammirati e incazzati al tempo stesso, cioè rassegnati alla sconfitta inflitta loro da un simile portento mediatico.
Il solo ad arricciare il naso fu Crozza. Tutt’altro che incantato dal prodigioso successo di Renzi, egli intuì che si trattava di una bolla di sapone. Comprese immediatamente che l’abilità del giovanotto si riduceva alla parlantina sciolta, alla sua facilità di stordire con discorsi ottimistici e demagogici l’uditorio televisivo, nauseato dal linguaggio ricco di bizantinismi dei politicanti tradizionali.
Maurizio ha dimostrato di essere un apota (come Giuseppe Prezzolini) e, anziché bersi le fanfaronate renziane, le ha trasformate in sequenze satiriche per svelarne la vacuità, evitando però di essere becero. In questo momento in cui l’Italia scarseggia di denari e di talenti, Crozza è una felice eccezione: confortano le sue amene e azzeccate analisi dei peggiori accadimenti italiani e le punture rifilate ai personaggi che li animano.
Anche lui tuttavia ha un difetto. Sembra la Torre di Pisa: pende sempre da qualche parte. Bisogna perdonarlo. Chi non è almeno un po’ di sinistra non ha vita lunga. Più che un comico, è un visionario: capisce tutto in fretta e ci sbatte in faccia la foto del Paese con i suoi vizi in primo piano. Il suo capolavoro è l’imitazione grottesca del senatore Antonio Razzi, nella quale ciascuno di noi identifica qualcosa di sé. E non è il meglio.