Non solo i padiglioni italiani e l’appalto di “Città della Salute” nel mirino di quella che è già stata ribattezzata la “cupola dell’Expo”. Tra gli interessi di Gianstefano Frigerio, Primo Greganti e Luigi Grillo, arrestati l’altro ieri dalla Guardia di Finanza, su ordine della Dda di Milano, anche la costruzione dei padiglioni dei Paesi stranieri ospiti all’Expo 2015. Un sistema, quello messo in piedi dagli ex parlamentari con la complicità del direttore pianificazione acquisti Expo Angelo Paris, che avrebbe dovuto permettere “di pilotare e spartire la torta degli appalti per la costruzione dei padiglioni stranieri” si legge nelle carte. Lavori e contratti per milioni di euro da assicurare a imprese “amiche” tramite bandi di gara e concessioni sotto il controllo della “squadra” (in tutto 7 le persone arrestate) finita in manette dopo mesi di intercettazioni.
Proprio grazie ad intercettazioni risalenti a non più di tre mesi, ora agli atti dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Claudio Gittardi e Antonio d’Alessio, gli uomini della Gdf hanno scoperto che tra gli “interessi maggiori” del trio figurava la costruzione del padiglione e degli spazi destinati ad ospitare la delegazione cinese. Una grossa fetta d’interesse, per la quale più volte i tre si sarebbero mossi all’unisono. Al centro del “circuito deflagrante e perverso”, scrive la procura, un ruolo di primo piano era rivestito da Primo Greganti. Era lui, si legge nelle carte, a gestire i diversi “interessi illeciti facenti capo a tutte le numerose cooperative che a lui fanno riferimento quale collettore con le stazioni appaltanti” in cambio di “corrispettivi”. Ed è sempre Greganti che, in diverse telefonate intercettate, mostra un profondo interesse per l’ “affaire Cina”. In un’intercettazione, risalente al 21 marzo scorso, parlando al telefono con Luciano Torquat, attuale liquidatore di Tempi Moderni S.r.l. “sottolinea – riporta l’ordinanza del gip – che la Cina ha intenzione di predisporre l’intero padiglione in modalità self-built. Tuttavia – scrive il giudice – (…) riferisce di aver comunque rappresentato l’importanza della sua mediazione”. “Beh i cinesi li abbiamo incontrati, li ho incontrati a Milano – dice Greganti – fanno fare tutto giù in Cina, qui c’è solo un problema di montaggio…Perchè c’è un rapporto con le Istituzioni, con l’Amministrazione, un rapporto con le altre imprese che lavorano lì…(…) comunque, in ogni caso, gli abbiamo detto noi siamo qua (…) che se avete bisogno noi ci siamo, insomma”. E sempre rivolgendosi a Torquat aggiunge: “vi assistiamo in tutto, voi state tranquilli, definiamo prima quali sono i costi, voi sicuramente risparmiate, accelerate i tempi e noi vi diamo una mano. Questa è stata l’impostazione”. Una telefonata alla quale farà seguito l’intento di preparare una memoria in cinese e mandarla giù in Cina. “Noi abbiamo preparato la memoria, l’abbiamo mandata su in Cina“, dice Greganti. Nelle carte, il giudice sottolinea che “è necessario tenere conto che la CMC, la coop per cui si spende nel tentativo di inserire tra gli imprenditori di riferimento del sodalizio ha un ufficio in Cina, a Shangai”.
Insomma, appalti pilotati per centinaia di milioni di euro. Un sistema tentacolare che è valso agli arrestati l’accusa di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Un terremoto su cui il sottosegretario alla Presidenza Graziano Delrio si è affrettato a rassicurare: “non è una nuova Tangentopoli”.
Carmela Adinolfi