E’ polemica da quando nei decreti attuativi del Jobs Act è stata inserita la libertà di monitoraggio degli strumenti informatici affidati ai dipendenti, laptop, tablet, cellulari, da parte dell’azienda, anche senza il consenso del dipendente o del sindacato.
Il ministero aveva poi chiarito che il lavoratore deve essere informato, tuttavia basterebbe l’autorizzazione della Direzione Territoriale del lavoro. Insomma, il dipendente saprà di essere controllato, ma non potrà impedirlo, e questo aveva scatenato la reazione della CGIL: “Sono molto preoccupata siamo di fronte a un’idea della vita della persone sconvolgente che impedisce al lavoratore di essere libero”. Aveva affermato Susanna Camusso “E’ evidente che ci sia un abuso rispetto alle norme sulla privacy delle persone”.
Ed è arrivato quindi l’intervento del arante della privacy, Antonello Soro: “Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”, ha affermato, aggiungendo che “occorre ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo”.
Una posizione molto moderata che si limita all’aspetto della protezione della privacy, ovvero dell’utilizzo dei dati raccolti dalle imprese e non tocca l’ambito delle eventuali conseguenze disciplinari del monitoraggio del dipendente che naviga in internet invece di lavorare, il vero punto focale della polemica, dopo l’abolizione dell’articolo 18 e delle nuove regole del Jobs Act che rendono più facile il licenziamento