“Ho sempre pensato anch’io che altri parlamentari siano stati corrotti, ma non ho le prove. Ho raccontato solo i fatti di cui avevo conoscenza diretta”. Sergio De Gregorio è un fiume in piena. Ha anche cambiato mestiere, non aspira più a poltrone di potere ben retribuite. Ora, confida a Repubblica, promuove all’estero “piccole imprese italiane, quelle che vendono pomodori, olio di oliva, arredi d’ufficio”.
Ieri era in aula al tribunale di Napoli, precisamente la numero 117. Ha voluto ascoltare tutta la requisitoria del pubblico ministero Alessandro Milita e del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, anche se lui dal processo sulla compravendita dei senatori che vede imputati Silvio Berlusconi e il suo intermediario Walter Lavitola, ne è già uscito con un patteggiamento a un anno e 8 mesi di reclusione. De Gregorio ha confessato: sono stato corrotto. Ma, per ora, manca il corruttore.
Una prima verità sarà ristabilita il prossimo 8 luglio, quando i giudici di Napoli si esprimeranno con la sentenza di primo grado. Il 7 parola alle difese dell’ex Cavaliere, dell’ex editore dell’Avanti e di Forza Italia. Ma, con ogni probabilità, la sentenza avrà solo un valore simbolico (o “storico” come ha detto il pm Milita) perché il processo si prescrive in autunno tra ottobre e novembre.
Compravendita senatori, Il processo
Il processo, iniziato l’11 febbraio 2014, era nato già morto. Impossibile, infatti, arrivare a sentenza definitiva entro un anno e 8 mesi. Tutta l’inchiesta ruota attorno a quella che lo stesso Berlusconi definì “operazione libertà”, cioè il passaggio di alcuni senatori dalla maggioranza all’opposizione per far cadere il governo Prodi II. “Una colossale opera di reclutamento dei senatori del centrosinistra che non ha coinvolto solo De Gregorio” l’ha definita nella requisitoria di ieri il pm Milita mentre l’aggiunto Piscitelli ha parlato addirittura di “un’operazione finalizzata a sovvertire l’ordine democratico, una pagina buia della politica italiana”. Il primo a cambiare casacca fu proprio il senatore De Gregorio, eletto nel 2006 tra le file dell’Idv, nominato dallo stesso Berlusconi presidente della Commissione Difesa del Senato. Un’operazione “legittima e intelligente” lha continuato Piscitelli ma “il problema è l’accordo economico”. Tre milioni di euro, due dei quali in nero, fatti recapitare al senatore tra il 2006 e il 2007. Sia sotto forma di contanti sia come finanziamento alla fondazione “Italiani nel Mondo” di cui De Gregorio era presidente.
“L’architrave” come la definiscono i pm Henry John Woodcock, Alessandro Milita e Fabrizio Vanorio è costituito dalla lettera spedita da Lavitola a Berlusconi il 13 dicembre 2013, in cui l’ex editore dell’Avanti confessa di “aver comprato De Gregorio”. Secondo l’accusa, l’intermediario di Berlusconi sarebbe proprio Lavitola. Colui che avrebbe concretamente portato i soldi a De Gregorio. Così per quello che – dice il pm – “definire faccendiere è restrittivo” è stata chiesta una condanna a 4 anni e 4 mesi.
Caso diverso per Berlusconi. L’ex Cavaliere ha presentato, tramite i suoi legali, un’istanza di insindacabilità prevista per i parlamentari alla Giunta per le autorizzazioni della Camera. La copia della richiesta è stata consegnata ieri, in fase di udienza, ai pm che però hanno respinto il ricorso perché – ha ribattuto Piscitelli – “questo è un do ut des, la promessa di voto in cambio di denaro non ha nulla a che vedere con l’insindacabilità, questa è corruzione” ha concluso. Per l’ex premier, l’accusa chiede una condanna a 5 anni motivata così: “la pena per Berlusconi deve essere maggiore” perché è lui “il mandante, il regista e il beneficiario” dell’operazione di “corruzione” mentre Lavitola è “il suo scagnozzo”.
Non si è fatta attendere la risposta di Berlusconi che in una nota ha scritto: “Una richiesta, quella della Procura di Napoli, che confligge con la realtà e con tutte le risultanze processuali, in linea con la tradizione dei peggiori processi politici”. “Confido – ha concluso l’ex Cavaliere – che il Tribunale voglia rapidamente ristabilire la verità dei fatti e pronunciare una sentenza totalmente assolutoria”. L’ 8 luglio la sentenza. Di un processo nato morto.
Giacomo Salvini