Dopo cinque mesi di nulla la situazione in Grecia è precipitata in un weekend: il primo ministro Alexis Tsipras ha annunciato venerdì sera che la Grecia sottoporrà a referendum la proposta dei creditori; sabato la Grecia ha abbandonato i negoziati con l’Eurogruppo (o meglio, l’Eurogruppo si è riunito una seconda volta senza la Grecia), e in nottata ha approvato la legge che indice il referendum per il 5 luglio, oltre la scadenza del 30 giugno.
Domenica la Banca Centrale Europea ha confermato che terrà aperta la linea di credito di emergenza (ELA, a rischio e pericolo della Banca di Grecia) ai livelli di venerdì (quindi insufficienti); la Commissione Europea, con eccezionale tempismo, ha reso noto la propria ultima proposta alla Grecia, quella che Tsipras non ha potuto leggere perché ha abbandonato il tavolo; in serata il governo greco ha ordinato la chiusura delle banche per evitare la corsa agli sportelli e controlli sui capitali più feroci di quelli imposti a Cipro.
Quella andata in onda nel weekend (in realtà da mesi e anni, sia pure per ragioni e con protagonisti differenti) è una tragedia che è sfociata in farsa. Tsipras, da gennaio, ha cambiato strategia una mezza dozzina di volte, chiedendo ogni volta cose differenti e cercando un accordo su cose che non poteva ottenere. Ha confuso chi poteva avere simpatie per la sua lotta contro l’austerità (compreso lo scrivente, per quel che vale) e ha irritato i burosauri teutonici, che alla fine lo hanno fregato con l’esperienza: l’Eurogruppo, alla fine, si è allineato alla carrozzella del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble.
Ma non si dia solo la colpa a Tsipras: l’Europa a guida Schaeuble non è riuscita a mettere sul tavolo politiche serie per il rilancio della Grecia, offrendo a sua volta a Tsipras vie d’uscita che altro non erano che trappole. Il peggio è avvenuto domenica, quando la Commissione Europea ha rivelato l’inutile piano che sarebbe stato proposto alla Grecia se questa non avesse abbandonato il tavolo: pagine di inutile burocratese che, pur contenendo passi avanti, risultavano carenti di idee.
Nel mezzo c’è il popolo greco, che ora è chiamato da suo leader a scegliere fra orgoglio e povertà da un lato, e austerità e povertà dall’altro. Le proposte finali di Grecia e Troika erano infatti due spremute fiscali dei greci: la Troika proponeva meno tasse e più tagli, Tsipras proponeva più tasse e meno tagli. Troika e Tsipras, insomma, hanno concordato e litigato solo su stupidissime manovre contabili.
Crisi Grecia, la corsa verso il dirupo
Il referendum del 5 luglio, insomma, non sarà altro che un sondaggio di questi tipo: «Vuoi tu popolo greco essere strangolato con una corda o con una cravatta?». A brillare per la loro assenza in questo viaggio verso il dirupo sono l’assenza di politiche che potrebbero effettivamente risollevare la Grecia.
I litigi su uno zerovirgola di più o di meno di pareggio del bilancio sono ridicoli se paragonati alle profonde riforme che richiedono la pubblica amministrazione, il mercato del lavoro, l’evasione fiscale, il sistema pensionistico. In Grecia non esiste un settore privato degno di questo nome, e i greci, in sostanza, dipendono da uno Stato che non vuole altro che divorare qualcosa per sopravvivere dopo avere consumato sé stesso.
Adesso la Grecia è congelata in una settimana di ferie bancarie in cui l’attività economica, già in declino, sarà bloccata. Uscire dai controlli sui capitali non sarà semplice. Il 5 luglio si voterà un referendum in cui, se si voterà “sì” ai creditori, potrebbe già non esserci più una proposta su cui lavorare; se si voterà “no”, come vuole Tsipras, saremo punto e a capo.
Molto dipenderà dalla volontà della BCE di tenere in vita le banche greche: secondo alcune voci, con le attività ridotte al minimo, le banche potrebbero resistere con gli attuali livelli di liquidità di emergenza per altre tre settimane, ovvero più o meno a ridosso della scadenza dei bond in mano a Mario Draghi. Se la Grecia non paga sarà il default, poi forse il Grexit e infine un caos di cui non riusciamo a intravedere le conseguenze sul resto d’Europa nel lungo periodo. E il primo candidato a essere travolto è probabilmente l’Italia.