Fmi: “L’Italia investa in innovazione per essere più competitiva”
Più innovazione, non solo o soltanto correttivi al costo del lavoro: il suggerimento arriva direttamente dall’altra sponda dell’oceano. È il Fondo Monetario Internazionale, infatti, in un paper dell’economista Andrew Tiffin, a illustrare le linee guida che permetterebbero all’Italia di dare una spinta significativa alla propria economia. Freno a mano tirato per il “Bel paese” che sul fronte innovazione e tecnologia, almeno a livello generale, fa registrare performance decisamente negative. A preoccupare l’organismo guidato da Christine Lagarde non è solo l’indice di disoccupazione fermo al 13%, secondo gli ultimi rilievi del febbraio di quest’anno. Nello studio dal titolo European productivity, innovation and competitiveness: the case of Italy si legge che “l’aumento dei costi dei fattori produttivi in Italia non si è tradotto in un aumento equivalente dei prezzi relativi dei beni italiani, in parte a causa del ruolo delle importazioni a basso costo da Paesi a bassa inflazione”.
L’Italia fatica a partorire prodotti di alta tecnologia. Un quadro aggravato anche dalla mancanza di “riforme strutturali“, più volte annunciate e mai veramente realizzate. A fare le spese di questa situazione, oltre a essere parte in causa della scarsa competitività del nostro paese a livello mondiale, le aziende affette da “nanismo”, troppo piccole e con troppo poco appeal internazionale per traghettare l’espansione dell’export italiano. Export, in questi anni, sostenuto dall’industria tradizionale italiana del tessile, dell’ agroalimentare e dei mobili più “una quota importante che deriva dai fornitori specializzati” ovvero aziende che ideano, sviluppano e realizzano strumenti specifici, destinati a mercati specializzati. Sono proprio queste imprese, animate da “inventiva e agilità” ad aver assicurato la tenuta dell’export. Ma questo, sostiene l’FMI, potrebbe non bastare. Alla lunga le aziende tradizionali potrebbero non essere più in grado di sostenere il comparto, “potrebbero – sostiene Tiffin nel paper – non essere più la fonte di forza che erano in passato» a causa della burocrazia e dell’incapacità di competere sul mercato internazionale. E allora tocca cambiare rotta. Puntare sulle imprese che investono in tecnologia, ricerca e sviluppo, sostiene l’organizzazione internazionale .
Una situazione certo non allarmante, quella disegnata dall’FMI, ma da tenere sicuramente sotto osservazione. La quota delle esportazioni globali “aggiustata” dall’Italia seppur “deludente, non è critica come potrebbe apparire a prima vista” si legge nello studio. A pesare sul comparto, vincoli e norme burocratiche infinite e riforme troppo attese, che impediscono all’Italia di proiettare sulla scena internazionale l’immagine di un paese più smart e avanzato. Per appianare il gap con le aziende internazionali l’Italia necessita di più forzi. In primis le riforme strutturali per “innovare ed espandere” le quote di mercato delle imprese che producono made in Italy. Una ricetta quella del Fmi che mira a “delineare alcune implicazioni per l’agenda di riforme strutturali” del governo italiano.
Carmela Adinolfi