Il fallimento della Grecia inteso come default si realizza nel momento in cui chi non riesce a restituire ciò che ha avuto in prestito viene appunto dichiarato fallito, soggetto a inevitabili conseguenze la cui entità a garanzia del creditore deve essere valutata in base al patrimonio in possesso del debitore.
Il fallimento della Grecia è figlio del debito europeo. I creditori sono le banche europee, gli stati membri sotto obbligazione della Banca centrale (fondo di salvataggio europeo a cui ha dovuto aderire anche l’Italia paese membro per la cifra esposta ieri su twitter dal ministro Padoan), e ovviamente Il Fondo monetario internazionale. Loro hanno prestato soldi in cambio di percentuali di interesse rispettabili solo tramite un piano di austerità che ha colpito la maggioranza del popolo greco negli ultimi cinque anni, il ceto medio basso, quello che di fatto costituisce la maggioranza di una nazione, un piano che non ha rilanciato l’economia greca ma ha avuto il solo effetto intanto di ripianare in parte il debito contratto dalla Grecia negli anni con le banche francesi e tedesche. Adesso che il piano di austerità dovrebbe subire un ulteriore impulso così come chiaramente sbandierato ai media da Juncker sorge il problema politico, con Tsipras che non ha alcuna intenzione di venire meno alle promesse elettorali che ne hanno consentito l’elezione, e il fronte conservatore che pilotato dall’Unione ambisce tramite la strategia della paura del fallimento a tenere in vita il debito e la restituzione graduale dei prestiti tramite un gioco di rinvii che ha nel rinnovo di prestiti un sistema senza fine.
La strategia della paura del fallimento della Grecia ha lanciato l’idea del cross-acceleration, una sorte di richiesta immediata di restituzione dei prestiti tramite il blocco preventivo delle banche e quello dei prelievi consentiti (cosa di fatto già in atto), anche se non si capisce poi in pratica dove siano i fondi acquisibili se il paese di fatto non è in grado di restituire materialmente il denaro.
Di fatto non essendoci denaro ed essendo annullati i nuovi prestiti lo stato greco si troverebbe nell’impossibilità immediata di pagare pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici, prima reale conseguenza del fallimento della Grecia che farebbe venire meno la tesi del cross-acceleration. A quel punto il governo greco emetterebbe dei “buoni” che avrebbero inizialmente valore di promesse, per poi garantire in futuro la riscossione del denaro dovuto, nella speranza che questo palliativo possa tenere a bada una reazione impulsiva del popolo greco.
Altra conseguenza pratica del fallimento della Grecia (e che comunque è già in atto) è la fuga dei depositi, che fa di queste promesse di pagamento delle pensioni e degli stipendi pubblici un’anticamera della svalutazione della futura moneta greca, almeno del 40% rispetto all’attuale valore dell’euro in Grecia. Di fatto chi ha 10 euro di moneta oggi domani con la nuova moneta avrà valore di acquisto di 6 euro.
Calcolare il costo del fallimento della Grecia è davvero arduo, le cifre calcolano il debito nell’astronomica cifra di 600 miliardi di euro, numeri che fanno pensare alla reale impossibilità di restituire il denaro e alla concreta conseguenza di mandare in fumo anni di prestiti realizzati solo per gli interessi garantiti.
La svalutazione della moneta conseguenza del fallimento della Grecia avrebbe l’effetto immediato di portare la Grecia al livello economico degli anni novanta, quando il discorso globalizzazione era lontano anni luce. Si passerebbe alla ripopolazione nel market di prodotti locali, nell’impossibilità di acquistare prodotti di importazione che subirebbero un’inflazione esagerata proprio in virtù della svalutazione di moneta, rendendo non commmercializzabili un numero elevatissimo di prodotti esteri che oggi nell’Unione costituiscono il flusso portante dell’economia reale.
Il livellamento economico sarebbe altra ovvia conseguenza, un livellamento al ribasso e una cancellazione di servizi pubblici impossibili da garantire e sostenere almeno nell’immediato. La stampa di nuova moneta, pur svalutata, andrebbe fatta tramite nuove alleanze extra europee, con la Cina e la Russia che bisognerebbe capire come interpreterebbero questo ruolo.
L’influenza decisiva per il futuro dipende dalle intenzioni dei creditori che hanno guadagnato e sperano di poterlo fare ancora con la politica dei prestiti, e che probabilmente non hanno alcuna intenzione di perdere ciò che hanno stanziato, per cui il referendum di fatto crea scenari economici già tangibili, ma non prevedibili dal punto di vista politico, visti i sicuri tentativi di recuperare ad ogni costo qualcosa entrando di sponda nella politica greca e cogliendo l’occasione per rimettere le mani avanti dopo l’exploit inaspettato e non previsto di Tsipras, vera minaccia europea che il referendum consacrerà o annienterà. Non resta che aspettare domenica.