Tunisia: addio turismo e investimenti stranieri
Un attacco al cuore politico-economico della Tunisia, con possibili effetti collaterali per l’Italia. Il massacro di venerdì scorso sulla spiaggia di Susa, in cui hanno perso la vita 38 persone tutti turisti stranieri, è l’attentato più grave che la storia tunisina ricordi. Il governo tunisino predica calma e ostenta sicurezza, ma la situazione è drammatica: turisti in fuga e investimenti stranieri a rischio. Senza calcolare che le ripercussioni del vile attacco sulle spiagge tunisine potrebbero farsi sentire perfino in Italia.
Tunisia: turismo sotto scacco
Quest’attacco segue quello del marzo scorso al Museo del Bardo a Tunisi, in cui sono stati uccisi 21 turisti. Proprio i tratti in comune tra i due attentati rende chiaro il piano dell’Isis e dei suoi “lupi solitari”: mettere in ginocchio l’unico paese che, dopo la primavera araba, ha saputo avviare una reale transizione democratica. Quella democrazia e quell’apertura verso modelli democratici occidentali che lo Stato Islamico non può tollerare.
La scelta di colpire il museo principale della capitale tunisina e la spiaggia di una costa ricca di resort e villaggi non è affatto casuale: quale miglior modo per minare la stabilità di un paese se non quello di farne crollare il turismo, uno dei pilastri dell’economia, uccidendo quegli stranieri che spendono la loro ricchezza nel paese?
In una testimonianza emblematica rilasciata al Sole24Ore, Ibrahim Grid, bagnino del resort El-Muradi, ha raccontato come Seifeddine Rezgui, l’attentatore ventiquattrenne, intimava al personale degli alberghi di spostarsi dal suo tragitto, perché il suo unico bersaglio erano i turisti stranieri.
Già, quel turismo che pesa per il 6% del Pil tunisino (48 miliardi di dollari nel 2014, Fonte FMI) e che nell’arco di appena due mesi potrebbe scomparire dai radar economici del paese. La stagione estiva da poco iniziata appare a rischio, con turisti da tutto il mondo che si sono affrettati a disdire le prenotazioni verso la Tunisia e con quelli presenti nel paese che hanno deciso di tornare in patria con largo anticipo.
Per arginare questa fuga, il governo di Tunisi ha annunciato misure straordinarie di sicurezza pubblica, come la chiusura di 80 moschee e creazione di un corpo di polizia turistica, ma potrebbe essere troppo tardi.
Tunisia: a rischio gli investimenti stranieri
Se all’aspetto più visibile dell’attacco al turismo della Tunisia si aggiungono gli effetti collaterali e le ripercussioni che questi giorni di paura potrebbero avere sulla stabilità politica, il futuro del paese nord-africano si fa ancor più denso di nubi.
Gli investitori di tutto il mondo osservano l’evolversi della situazione e la paura del governo tunisino è una contrazione inesorabile degli investimenti stranieri diretti, che appena un anno fa erano tornati sui livelli del 2011, ossia prima che la rivoluzione dei gelsomini facesse scappare i capitali esteri. Con l’incertezza che aleggia nel paese, il timore è che la crescita della Tunisia, certificata dalla Banca Mondiale con un +3,3% del Pil previsto per il 2015, possa subire una brusca frenata.
Tunisia: i timori dell’Italia, secondo partner europeo
Secondo gli ultimi dati del Ministero italiano degli Affari Esteri, l’Italia conta in Tunisia circa 800 imprese registrate, ossia il 25% delle imprese a partecipazione straniera presenti sul territorio. Aziende che stando alle stime fornite dalla FIPA, l’agenzia tunisina di promozione per gli investimenti esteri, fatturano circa 3 miliardi l’anno.
Nessuno si sogna di avanzare chissà quali rischi economici per l’Italia in caso di crollo della struttura politico-economica tunisina, ma sicuramente la possibilità di perdere un partner chiave nel Nord-Africa esiste. Non solo perché il nostro paese è per la Tunisia il secondo partner commerciale d’Europa sotto il versante dell’import/export.
Ma soprattutto perché, nonostante la lentezza burocratica e i disagi doganali, negli ultimi anni la Tunisia ha rappresentato per molte nostre imprese un’opportunità di diversificazione delle proprie attività e di penetrazione in nuovi mercati, come quelli del Nord-Africa, del Golfo o dell’Africa francofona. Un ponte nel continente africano che ora rischia di sgretolarsi sotto i colpi del fondamentalismo islamico.
Andrea Frollà