Il marmo è vita, Rodin in mostra a Roma
Uno degli aspetti più affascinanti della scultura è la contraddizione (apparente) di cui si nutre, ovvero, il processo attraverso cui l’artista estrae e plasma creazioni pulsanti di vita da materiali statici e “freddi”. Nascono così opere capaci di evocare un dinamismo e un’energia potenzialmente infiniti, che si propagano, per contatto, di epoca in epoca. In tal senso, una delle figure più importanti di sempre è quella di Auguste Rodin (Parigi 1840 – Meudon 1917), con Michelangelo uno degli innovatori della tradizione plastica moderna, a cui è dedicata una mostra in corso a Roma fino al prossimo 25 maggio presso le Terme di Diocleziano.
L’evento, patrocinato e prodotto dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Musée Rodin di Parigi con Electa e Civita, è curato da Aline Magnien, conservatore capo del patrimonio del Musée Rodin di Parigi, in collaborazione con Flavio Arensi, e rappresenta la più ricca esposizione mai allestita sui marmi dell’artista, che approda nella capitale dopo aver fatto tappa a Palazzo Reale a Milano. La mostra è composta da oltre 60 opere, il cui allestimento, ideato dallo studio internazionale Bureau des Mésarchitectures — Didier Faustino, si propone di evidenziare le peculiarità di ciascuna delle sezioni in cui si articola, instaurando, al tempo stesso, un “dialogo” con lo spazio architettonico circostante. L’esposizione si snoda attraverso tre nuclei tematici, il primo dei quali è l’illusione della carne e la sensualità, a cui fanno riferimento alcune opere giovanili di Rodin, caratterizzate da un’impronta classica: tra queste, il celeberrimo Homme au nez cassé, un ritratto omaggio a Michelangelo rifiutato dal Salon parigino del 1864, e Il bacio, che suscitò un certo clamore nella Francia di fine Ottocento.
La seconda sezione, è composta da alcune tra le più famose sculture dell’artista francese, che ne sottolineano la padronanza compositiva e di elaborazione delle figure, le quali si stagliano, come a volersi liberare, dal blocco di pietra. In quest’area si possono osservare ritratti di grande intensità (tra cui il busto dedicato alla compagna di una vita Rose Beuret) sideralmente distanti dalla chirurgica precisione d’inizio carriera, e opere intrise di erotismo, frutto di una spregiudicata ricerca formale scaturita dal bisogno di sperimentare nuove modalità espressive. Mains d’amant costituisce, ad esempio, un omaggio all’amore che lascia già intravedere il processo di recupero condotto da Rodin e sostenuto da una nuova concezione di scultura. L’incompiuto è invece il filo rosso che attraversa la terza sezione, caratterizzata dal non finito, il cui primo e più immediato richiamo non può che essere a Michelangelo. Un tema, questo, che Rodin interpreta con uno stile di assoluta modernità da cui prendono vita alcuni tra i migliori ritratti da lui eseguiti, tra cui quello di Victor Hugo e quello, poco conosciuto, di Puvis de Chavannes, il grande “decoratore di muri”, uno fra gli artisti più importanti dell’epoca.
La mostra prende le mosse da un approfondito studio storico-critico svolto dal Musée Rodin sulla bottega dell’artista e sul suo metodo di elaborazione della pietra, attraverso cui si è giunti a individuare i singoli collaboratori che lavorarono ai blocchi di marmo. Rodin infatti si occupò direttamente del taglio di questi ultimi fino a quando la quantità di opere commissionate crebbe a tal punto, da rendere necessario un vero e proprio atelier di collaboratori, anticipando, in tal senso, la pratica contemporanea di demandare l’esecuzione mantenendo invariato il progetto originario. Hanno scritto a proposito dell’artista francese: “Alla sensualità del marmo ci aveva già abituato Bernini, ma con Rodin la sensualità va oltre e diventa proibita. La nudità dei corpi scolpiti è assoluta e non smette di far parlare i ben pensanti dell’epoca […] Sconvolge l’improvvisa forza con la quale i soggetti scolpiti emergono dal marmo grezzo, appena sbozzato.
La contemporaneità di Rodin sta nel conferire al movimento un significato esistenziale di soggetti pronti a manifestare un’emozione compressa sul punto di esplodere. Rodin non analizza meticolosamente: l’anatomia possente michelangiolesca non è scolpita con dettagli maniacali. Rodin come chi è spinto dalla passione, riversa nel marmo un’emozione. I soggetti sembrano animati da una febbre che li consuma, che li rende liquefatti. Non nascono dal marmo, ma si consumano con l’aria circostante […] Per Rodin lo spazio è la conquista che i gruppi scultorei fanno attraverso il movimento: è come se il movimento e non la nudità, fosse la loro colpa, espiata da un’ impostazione classica. Le sculture vivono e diventano altro da ciò per cui sono state create: ce lo dimostra la Porta dell’Inferno ispirata a Dante Alighieri, alla quale lavorò per oltre trent’anni sviluppando i soggetti come gruppi scultorei autonomi. Così Dante diventa il Pensatore e Paolo e Francesca “Il Bacio”, stati d’animo in continuo tormento”.
Nella poetica dell’artista fu quindi fondamentale la spinta propulsiva del movimento, del fluire continuo delle cose, come dimostrano le conversazioni con Paul Gsell, a cui rivelò di limitarsi a suggerire ai suoi modelli una posizione: “Io gliela indico, ma evito accuratamente di toccarlo per metterlo in quella posa, perché voglio rappresentare solo ciò che la realtà mi offre spontaneamente». Rodin si circondava infatti di modelli, uomini e donne, nudi, per prendere confidenza con la multiforme espressività del corpo, e quando una o uno di loro, compiva un gesto che lo colpiva, ne creava rapidamente un bozzetto con l’argilla. Si tratta insomma di una figura straordinariamente attuale, capace di precorrere i tempi imponendosi all’attenzione dei contemporanei come delle generazioni successive offrendo stimolanti elementi di riflessione legati non solo al tema della creazione artistica.
La mostra quindi è una “ghiotta” occasione sia per gli appassionati d’arte, in quanto getta una luce nuova sulla produzione di Rodin, che per quanti ancora non conoscevano la sua opera, senza dimenticare quelli che invece ne avevano una conoscenza meramente scolastica. Niente infatti, vivifica e restituisce il senso profondo dell’arte più del contatto diretto che, mediato dall’osservazione, suscita curiosità e, per una sorta di effetto domino, interesse e partecipazione.