Il referendum greco di domenica si avvicina, la campagna elettorale si fa rovente in un Paese che attraversa la sua ora più grave dal 1974, l’anno della caduta dei colonnelli, e le strade si riempiono dei manifesti per il Sì e per il No.
Se finora il No poteva puntare sulla forza della retorica di Syriza e di Tsipras e la potenza immaginifica della lotta di un popolo contro i “diktat” della Merkel, il Sì viene sostenuto o da vecchi partiti già stati al potere negli anni passati come il PASOK di Venizelos o Nea Demokratia di Samaras, o da nuovi però troppo deboli, come Potami.
Crisi Grecia, la speranza di Kaminis
In mezzo alla compagine del Sì, brilla però una figura emergente, è il sindaco di Atene, Kaminis, di doppia cittadinanza, greca ed americana, è stato dal 2003 al 2010 difensore civico greco, prima di vincere la carica di primo cittadino della capitale per una coalizione di verdi, socialisti e Sinistra Democratica, un piccolo partito cui all’epoca apparteneva.
Soprattutto, nel 2014 è stato protagonista di un mezzo miracolo per il centrosinistra greco, è riuscito a sconfiggere al ballottaggio il candidato di Syriza, confermandosi come sindaco, pressochè unico caso di successo per quella coalizione di partiti che a livello nazionale non ha superato il 10%, cannibalizzata dalla sinistra populista di Tsipras.
Professore di diritto costituzionale, Kaminis è stato incoronato dai media leader del Sì alla manifestazione di mercoledì, in cui ha arringato la folla assieme al sindaco di Salonicco, chiedendo che la Grecia possa tornare al tavolo con l’europa per siglare un accordo che garantisca sviluppo e dignità.
Nel 2013 fu attaccato dai militanti di Alba dorata per avere criticato la distribuzione di cibo che questi facevano solo per “i veri greci”, ed è sulla sua popolarità che ora tutti coloro che temono il default puntano.
Crisi Grecia, Kaminis: “stiamo andando verso un disastro”
Oggi il sindaco di Atene ha lanciato degli appelli disperati per il Sì, affermando che Stiamo affrontando una catastrofe nazionale, è talmente evidente, se la Grecia vota ‘no’, saremmo obbligati a tornare immediatamente alla dracma e, prima o poi, potremmo essere costretti a lasciare anche la Ue: non voglio che i miei figli siano parte del Nord Africa” e sottolineando la campagna populista sulle richieste dei creditori che l’estrema destre e l’estrema sinistra stano facendo: “Dobbiamo spiegare in maniera molto determinata che cosa c’è in ballo la gente sembra pensare che a chiudere le nostre banche sia stata la Ue”.