Referendum Grecia, le ragioni del “no” e la posta in gioco
Referendum Grecia: Termometro Politico ha dedicato molti articoli alle ragioni dei “creditori”, sostenute da buona parte della redazione. Tuttavia anche nella nostra testata esiste una pluralità di vedute e la linea editoriale tiene a dare spazio anche ad altre posizioni, soprattutto se ben argomentate, come quella che leggerete nel testo seguente, scritto dal nostro redattore Piotr Zygulski in collaborazione con Alessandro Volpi, articolato in 10 punti.
Che alcuni giornali si possano permettere di mentire apertamente – o perlomeno di pubblicare articoli sorvolando sull’attendibilità delle fonti – senza provare alcuna vergogna non è una novità, basti pensare alla notizia dell’esecuzione a cannonate del generale dormiente Hyon Yong-chol, ministro della difesa nordcoreano, passata da tutte le maggiori testate nazionali, la cui smentita ufficiale, arrivata con una foto in cui compare vivo e vegeto, è stata anticipata nientepopodimeno da Antonio Razzi, il quale ha dichiarato ai microfoni della Zanzara: “Mi viene da ridere, sono tutte palle”. In un paese in cui è Razzi a dover ristabilire la verità, ormai le falsità che i giornali scrivono non stupiscono più persona alcuna. Che la scelta di Alexis Tsipras di indire un referendum sull’accettazione o meno degli accordi imposti da UE, BCE e FMI abbia ulteriormente scaldato i gli animi, come si può leggere anche da altri articoli comparsi sulla nostra testata, è cosa piana. Cerchiamo allora quali sono gli interessi in gioco, senza doverci per forza accodare alle campagne mainstream.
1. La battaglia ideologica
Innanzitutto, la situazione apocalittica in cui verserebbe la Grecia alla vigilia del referendum, con file chilometriche ai bancomat e turisti in fuga, è stata smentita da alcuni reporter. Parimenti, scenari disastrosi sono quelli spesso prospettati in caso di una vittoria del “no” o di un’eventuale uscita dalla moneta unica; disastrosi vuoi per “gli italiani”, perderebbero ogni credito nei confronti dei debitori greci – ma quanti effettivamente possiedono “bond greci”? – vuoi per i greci, che “morirebbero tutti”. Non commentiamo queste espressioni di terrorismo mediatico ma accenniamo soprattutto a questa battaglia ideologica che ricorda i toni da guerra fredda e si consuma soprattutto sul terreno dei sondaggi, dove i “nai” disposti ad accettare le condizioni della Troika e gli “oxi” contrari vengono dati di volta in volta vincenti o perdenti a seconda del propagandista di turno, oltre a quelli che li mostrano pari, volendo così mobilitare l’ennesimo elettore, convincendolo che il suo voto sarà quello decisivo. Oltre a ciò poi si mostrano prove di forza nelle piazze, dove il fronte dei “no” sembrerebbe aver prevalso, con l’imponente manifestazione di venerdì conclusasi in Piazza Syntagma con il discorso di Tsipras, in cui il premier greco ha parlato della necessità di rifiutare gli accordi affinché la Grecia possa rimanere in Europa con dignità.
2. La dignità
Quello della dignità è un tema sottolineato anche da papa Francesco che, attraverso una dichiarazione del direttore della sala stampa vaticana p. Federico Lombardi, ha espresso vicinanza al popolo greco ammonendo i tecnocrati di Bruxelles: “La dignità della persona umana deve rimanere al centro di ogni dibattito politico e tecnico, così come nell’assunzione di scelte responsabili”. Il Pontefice conosce bene il travaglio che la nazione greca sta vivendo; è infatti analogo a quello argentino di quindici anni fa che anche Bergoglio ha vissuto in prima persona, contribuendo anch’egli a quello scatto di dignità popolare “peronista” che ha permesso alla nazione sudamericana di riprendersi autonomamente dalle politiche pesantemente recessive perpetrate da Meném e Cavallo, che si ostinavano a mantenere un cambio con il dollaro fortemente penalizzante, mentre “le istituzioni creditrici hanno finto che la sostenibilità potesse essere riacquistata attraverso ‘cambiamenti strutturali’ […] accettati e implementati, ma non hanno funzionato”; queste sono parole del premio Nobel Stiglitz, per dire. Jorge Mario Bergoglio nel 2010 era poi tornato sul tema con uno straordinario discorso alla patria argentina tradotto anche in italiano con il titolo “Noi come cittadini, noi come popolo” ed edito per i tipi di Jaca Book, di cui vi consigliamo la lettura. Che la dignità di un popolo non debba essere annientata mediante accordi umilianti sembra essere cosa comunemente accettata ma che raramente i creditori tengono a mente; si pensa, infatti, che si possa trattare di un’argomentazione “moralistica”, ma basterebbe riflettere sul fatto che l’ascesa del nazismo e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sono dovuti anche, se non principalmente, alle inique sanzioni di guerra comminate alla Germania uscita sconfitta dalla Grande Guerra; una “pace cartaginese” voluta fortemente dal francese Clemenceau, con i suoi tre punti di “Punizione-Pagamento-Prevenzione”, in cui la prima è quella fondante. Keynes, che partecipò alla prima fase di negoziazione, presentì le conseguenze disastrose che tutti poi abbiamo appreso dalla storia, ma purtroppo tutt’oggi c’è qualche smemorato che vorrebbe, per principio, propugnare una linea basata sulla “punizione” dei “greci spendaccioni”, calpestandone di fatto la dignità.
3. Democrazia o scaricabarile?
Accanto alla dignità, il tema politico che sembra maggiormente trasparire dalla campagna referendaria di Alexis Tsipras è la tenacia con la quale insiste nel non rompere con le istituzioni europee, in linea con quanto proposto nel suo programma elettorale che insisteva tanto nella critica dell’austerity quanto nella volontà di rimanere nell’eurozona. Su questo punto, come sottolinea magistralmente su Il Fatto Quotidiano l’economista Alberto Bagnai, “torna in evidenza il peccato originale nella strategia di Tsipras”, il quale “per raggiungere il potere […] ha dovuto mentire, proponendo agli elettori l’euro come un valore positivo, uno status symbol da difendere a ogni costo, il segno tangibile del riscatto della nazione ellenica”. A questo punto non può, e forse neppure vuole, mettere in atto la “soluzione finale” e si appella al popolo greco, da cui di fatto però ha già ricevuto un mandato elettorale abbastanza esplicito su questo tema. In questo senso, più che democrazia, il passaggio attraverso le urne è un titubante “scaricabarilismo”; attenendosi al contenuto del quesito – che non propone alcuna uscita dall’euro – ci si rende conto che la risposta conforme al programma di SYRIZA non può che essere quella negativa, ma perché allora questa prova di forza?
4. La sfida interna alla politica greca
Evidentemente Tsipras si trova diviso su due fronti: uno esterno, in cui si trova a fronteggiare i creditori, e uno interno, in cui si trova a tenere insieme un elettorato diviso e un partito con una corrente sempre più forte che vuole il ritorno alla valuta nazionale per potersi sganciare dalle politiche economiche imposte a livello europeo. Va anche detto che, mentre i greci sono spaccati nei confronti di questo accordo, tutti gli istituti rilevano una prevalenza dei contrari al “ritorno alla dracma”. Quando ci si rende conto che euro e austerità sono intimamente connessi, la posizione di questi potrebbe essere analoga a quella del marito che vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Se Alba Dorata ha annunciato esplicitamente il voto contrario all’accordo, i comunisti massimalisti antieuro del KKE, contravvenendo alla tradizione “stalinista” degli accordi e dell’“entrismo”, si sono rifiutati di impegnarsi nella campagna elettorale, temendo che una vittoria del “no” possa rafforzare ulteriorimente Tsipras e possa portare all’approvazione di un accordo analogo ma semplicemente più soft, come l’ultimo “memorandum SYRIZA” proposto in sede europea dal premier – forse un bluff? – ma rigettato dalla Troika, seppure le vicende siano state raccontate dal Corriere della Sera manipolando la traduzione italiana. Effettivamente la linea euro sì / austerity no di Tsipras, condivisa da molti greci e pure da molti italiani, si sta rivelando fallimentare sia sul piano tattico sia su quello strategico per l’impossibilità di modificare le strutture europee e all’ennesima facciata è possibile che qualcuno – un po’ come ha fatto il nostrano M5S – smetta di aspettarsi da loro un cambiamento. Ma il KKE prende davvero sul serio la risolutezza di Tsipras di voler mantenere l’euro e voterà scheda bianca, invocando al contempo l’uscita dalla moneta unica, dall’UE e dalla NATO. A Pilato rispondono con Pilato, come quegli zeloti che tra Gesù e Barabba avrebbero votato per crocifiggere Cesare.
5. L’economia greca, le colpe dell’austerità, la miopia dei creditori
Il ritorno alla valuta nazionale sembra ormai da molti considerata inevitabile per la Grecia: di fronte alla miopia vestita di tracotanza dei creditori non sembrano esserci possibilità di riscatto, se non l’abbandono dell’eurozona, altrimenti non si farebbe altro che allungare l’agonia. Tuttavia non c’è terreno più ideologico di quello della battaglia sulle cifre; proprio ciò che si presenta come asettico e neutrale, in effetti, non lo è. Se ci sono voci che parlano di un settore pubblico strabordante e laute pensioni, l’altra campana smentisce categoricamente e ribatte punto per punto. Per chi fosse interessato alle questioni inerenti all’età pensionabile segnaliamo lo scontro tra il blog pagellapolitica e le risposte di un collega di questa testata, con un dibattito piuttosto acceso, ma altri grafici interessanti si possono trovare anche su siti sparsi per il web. L’economista Alberto Bagnai con un suo intervento qualche mese fa aveva lanciato un fact-checking per dimostrare che il problema della Grecia non è tanto il debito pubblico quanto quello privato, che il settore pubblico impiega una quota di dipendenti allineata alla media europea e che il rapporto spesa pubblica/PIL era persino inferiore a quello tedesco tra il 1999 e il 2007, ossia nel periodo pre-crisi. Oltre a ciò illustra come nello stesso periodo la produttività del lavoro in Grecia sia aumentata più che in Germania, ma anche che in questi ultimi anni attraverso i “fondi salva stati” le banche private tedesche e francesi sono riuscite a recuperare quasi completamente le esposizioni nei confronti dei greci, quindi non temono più un eventuale default. Al contempo i “40 miliardi di crediti” che l’Italia detiene sono “a fondo perduto” e non possono più tornare nelle nostre casse. Interessante anche l’impegno di NeXtQuotidiano per cercare di smentire alcuni luoghi comuni, ad esempio sulle “riforme strutturali” recessive effettivamente attuate, sul piano di rientro del deficit e sui prestiti ricevuti solamente per pagare gli interessi. Duro affondo contro l’operato della Banca Centrale Europea viene anche dall’economista liberista Luigi Zingales, il quale le attribuisce buona parte delle responsabilità, ma anche il belga Paul De Grauwe che, accusando la BCE di gravi errori di valutazione che hanno inasprito la crisi, considera la Grecia “solvibile ma senza liquidità”. Per risolvere la crisi basterebbe sostenere il settore bancario greco con nuova moneta e alleggerire l’austerity, ma ciò può avvenire se i creditori guardano in faccia la realtà e abbandonino “l’insaziabile desiderio di punire i greci”, un popolo che già ha pagato troppo per gli errori pregressi. Degno di nota anche un articolo dei professori Brancaccio e Gallegati su L’Espresso, che imputano alla Troika e ai creditori, Italia compresa, il fallimento della trattativa sul debito greco, mentre Vito Lops sul Sole 24 Ore parla di “trappola” dovuta a meccanismi riconducibili essenzialmente al “Ciclo di Frenkel”, i cui 7 semplici passaggi spiegano egregiamente le fasi anche della crisi greca attuale.
Se non ci si fida di queste voci possiamo poi passare a due premi Nobel che forse sono più menzionati nella letteratura economica: Krugman e Stiglitz. Il primo, dalle prestigiose colonne del New York Times, si esprime senza mezzi termini parlando di euro come “errore terribile”. Se vincesse il “no” a detta di Krugman si navigherebbe per mari sconosciuti, eventualmente con l’abbandono dell’eurozona, “ma finalmente sarebbe offerta, a questo paese, la possibilità di una vera guarigione. E sarebbe anche uno shock salutare per le élites europee”, mentre “si dovrebbe avere ancora più paura delle conseguenze di un “sì”, perché in questo caso sappiamo benissimo cosa verrà, dopo – più austerità, più disastri ed una crisi molto peggiore di quella che abbiamo visto fino ad ora”. Anche Stiglitz saprebbe cosa scegliere, nell’alternativa tra un “sì” che potrebbe significare una “depressione senza fine” e un “no” che apre ai greci la possibilità di riprendere nelle proprie mani le redini del futuro, “forse non prospero come il passato, ma molto più desiderabile della spregiudicata tortura del presente”. Il nobel Christopher Pissarides, diversamente da loro, voterebbe “sì”; pur segnalando che il calo dell’occupazione in Grecia è dovuto principalmente all’austerity forzata, pensa che il “no” potrebbe portare all’uscita della Grecia dall’eurozona, mentre a suo avviso il cambio di rotta nella politica economica deve avvenire con la Grecia all’interno delle istituzioni europee. Thomas Piketty invece è contrario all’accordo, definito “a bad plan” e al contempo teme che l’espulsione della Grecia dall’UE possa consegnarla nelle mani della Russia.
6. La geopolitica
Previsione questa non infondata viste le sempre più strette relazioni che il presidente greco sta intrattenendo con Mosca, grazie ad una serie di incontri con Vladimir Putin caldeggiati soprattutto dal ministro della difesa Kammenos, del partito di destra sociale “Greci Indipendenti” in coalizione con SYRIZA. Una piccola parentesi: contrariamente a quanto riportato da alcune testate italiane, Kammenos invita a votare “no” al referendum. Recentemente è stato siglato un accordo per la costruzione di un importante gasdotto sul territorio greco, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov si è dichiarato disposto a prendere in considerazione la possibilità di concedere aiuti finanziari alla Grecia e, infine, Putin avrebbe proposto a Tsipras di entrare nella “Nuova banca di Sviluppo” delle economie emergenti BRICS. Centrale in questo braccio di ferro fra Grecia ed UE è proprio la situazione geopolitica che vede contrapposti il blocco occidentale sotto l’influenza USA-NATO e il blocco orientale che fa riferimento a Mosca, con l’Ucraina come terreno di scontro. In questo senso, la Grecia potrebbe rivelarsi il “cavallo di troia” della Russia in Europa spostando l’asse verso est, cosa che in parte sta già tentando, per esempio nella sua contrarietà alle sanzioni applicate dal’UE alla Russia. Ma un’altra nazione europea intende smarcarsi dall’orbita statunitense: si tratta precisamente della Germania, piuttosto insofferente alle ingerenze USA, che potrebbe vedersi unita alla Grecia in questo versante geopolitico. A qualcuno è sorto spontaneo un dubbio: forse che la Germania non intenda “consegnare” la Grecia nelle mani di Putin? Di certo una maggiore autonomia anche militare del Vecchio Continente non può che essere accolta con estremo interesse. Entrando in quest’ottica, la proposta della Troika di ridurre le spese militari greche più di quanto non avesse proposto SYRIZA potrebbe essere letta come un tentativo di indebolire la Grecia anche a livello difensivo qualora decidesse di camminare con le proprie gambe.
7. Sovranità, patria e sostegno trasversale
Proprio questo sembra voler fare la Grecia, se ha scelto un candidato socialista che si è posto alla difesa della sovranità e dell’identità nazionale contro la distruzione portata avanti dalle oligarchie economiche. Infatti Tsipras ha raggiunto un ampio consenso abbandonando il tipico settarismo della sinistra radicale eternamente all’opposizione e ha voluto unire l’intero popolo greco, ponendosi alla guida di questo. Scelta di chiara matrice “populista” come quelle che hanno consegnato la vittoria ai socialismi sudamericani verso i quali Tsipras, come Iglesias di Podemos, guarda con interesse come modello. Anche in questo senso diviene ben comprensibile l’alleanza con la destra sociale di Kammenos e la “retorica sull’ellenismo” criticata dalla corrente eurocomunista di Syriza. Tale svolta patriottica – non “nazionalistica” – ha dato a Tsipras un sostegno trasversale nella sua lotta ai tecnocrati di Bruxelles, infatti in questi giorni tutta “l’Europa euro-critica” sembra essersi schierata con “l’eroe greco”, dal M5S al Front National, da Podemos alla Lega Nord, passando persino per Brunetta e la Santanché, tutti uniti – anche se con sfumature diverse -intorno alla richiesta di riconsegnare al popolo greco la propria sovranità, affinché possa scegliere che tipo di politiche attuare, senza ossessioni di “vincoli esterni”. Non più (solo) bandiere rosse, quindi, ma soprattutto blu e bianche.
8. L’altra Europa con Tsipras
“L’Europa è morta, viva l’Europa, dicevo pochi giorni fa. Lo ripeto. Se vogliamo salvare l’Europa e la sua unità (ch’è tutta da costruire), l’Unione Europea va abbattuta e rifondata.” Queste sono le parole con cui Franco Cardini, storico e saggista, commenta la crisi in Grecia. Sembra infatti che intorno a Tsipras si stia realmente costruendo il sogno di un’altra Europa ma, eccettuato il premier greco stesso, tutti (o quasi) i suoi sostenitori ormai non vedono più i margini di farlo all’interno della “camicia di forza” (cit. Krugman) dell’euro. Al di là dei vari appoggi tattici di forze che non sembrano avere realmente fatto proprio questo progetto ed esprimono solidarietà al popolo greco per salire sul carro del vincitore,, sembra esserci costituita realmente una nuova e traversale possibilità di unità europea, fondata su altri presupposti dall’austerità. Una vera comunità di popoli, democratica, solidale e garante delle differenze e delle identità che potrà nascere però solo dalle ceneri della moneta unica, dopo aver compreso che era sì un sogno, ma un brutto sogno.
9. I bookmakers e i “mercati”
Nessuno ha la sfera di cristallo per prevedere il futuro, ma forse più che tanti sondaggi – usati come arma propagandistica, come abbiamo visto – ci potrebbero essere d’aiuto i bookmakers inglesi. La maggioranza di essi, il 62,46% per essere precisi, scommette sulla vittoria del “sì”, quotato mediamente a 1,45 contro il 2,65 del no. Riguardo i mercati, bisogna fare attenzione a quando si parla in modo altrettanto terroristico di “miliardi bruciati” o altre immagini da spavento: guardando al medio periodo, l’indice generale di Atene (ASE) il 26 giugno era ai livelli di gennaio prima che Tsipras vincesse le elezioni, senza perdite significative in questi mesi di governo. Assodato che la finanza è sempre più simile ad un casinò, se qualcuno perde qualcun altro guadagna, eccome. Difficile pensare che qualcuno resti impassibile a subire perdite su perdite, soprattutto se si tratta di investitori di professione che conoscono bene gli “strumenti derivati” – di certo non li abbiamo inventati noi scriventi – che permettono, nelle migliori intenzioni, di “coprire il rischio”. Detta brutalmente, è come se fossero scommesse: se uno teme che le sue azioni scendano sotto un tot può stipulare una “assicurazione” che gli permette di guadagnare quando le azioni scendono, coprendo così l’eventuale perdita. Ovviamente poi dipende dal tipo di scommessa che si fa e soprattutto dalle finalità: chi specula per guadagnare molto si assume molti rischi, per chi invece vuole rischiare meno esistono gli strumenti per tutelarsi. Nulla di particolarmente incomprensibile o di rivoluzionario, qui è la tanto celebrata “logica” del mercato.
10. Le ripercussioni
Se è difficile pronosticare l’esito del referendum odierno, forse ancora più ardua è l’impresa di chi intende valutare le conseguenze dell’esito. Potremmo illustrare innanzitutto le due diramazioni possibili.
a. se vince il sì (dettato dalla paura)
Poco cambierà per la direzione intrapresa dalla Grecia, che proseguirà sulla strada dell’austerity, con ogni probabilità solamente prorogando la propria agonia di qualche mese. Certamente Tsipras subirà un contraccolpo notevole, con le annunciate dimissioni del ministro Varoufakis; nel caso migliore si giungerà ad annullare il differenziale di inflazione con la Germania, che è l’unico vero termometro della crisi, ma a che prezzo? Sicuramente ulteriori licenziamenti, disoccupazione, calo dei consumi e dei salari e distruzione della domanda interna sino a quando questa “competitività” (al ribasso) non sarà stata conseguita, con le importazioni ridotte stabilmente sotto le esportazioni. Pure Monti, che definiva tali deliberati obiettivi “il più grande successo dell’euro”, oggi sembra preoccupato per un’ipotetica “rivolta degli spiriti, un tumulto delle anime”. Senza scendere nelle esegesi para-massoniche o medianiche di tali affermazioni, il “tumulto” che invece a noi sembra prospettarsi è quello che ulteriori sofferenze potrebbero far venir meno la fiducia accordata al governo di SYRIZA/AN.EL. e una rivolta popolare – oppure un colpo di stato – potrebbe portare al potere i metaxisti di Alba Dorata, quale ultima spiaggia.
b. se vince il no (dettato dalla “rabbia”)
Tutto diverrebbe possibile. Però qui la responsabilità ricadrebbe unicamente su Tsipras e il suo governo. Potrebbe, come da lui auspicato, riprendere i negoziati strappando un accordo migliore, ma anche quello verrebbe sottoposto a referendum? E se, invece, questa volta saranno i creditori ad opporvisi? L’obiettivo di Tsipras, quello “altreuropeista”, svanirebbe così, come un vago sogno impraticabile. Qualcuno avverte il presentimento di una “moneta parallela” all’euro, altri invece pensano che si possa trattare di un’iniezione di rubli per far ripartire l’economia greca. Oppure potrebbe, in modo forse più efficace, approfittare della chiusura delle banche per abbandonare l’eurozona e introdurre una “nuova dracma”, chiamatela come volete. Molto sicuramente starà nella gestione della crisi volta ad evitare ulteriori fughe di capitali, a ripudiare parte del debito divenuto inesigibile, a stabilire una diretta dipendenza della Banca Centrale ellenica dal governo – affinché possa controllare i tassi di rifinanziamento coordinando politica monetaria e fiscale – e a instaurare rapporti economici/geopolitici con altri paesi. Se la nuova valuta riuscirà a risollevare le sorti della Grecia è difficile dirlo, soprattutto perché il tessuto produttivo è stato distrutto maggiormente rispetto ad esempio all’Italia, che avrebbe maggiori possibilità di ripresa in caso di un ritorno alla sovranità monetaria, anche per via dell’export. In tal senso, temiamo che l’eventuale uscita dall’eurozona della Grecia, qualora avesse esiti scarsi, possa essere utilizzata come spauracchio contro altri paesi che fossero intenzionati a seguirla; tuttavia potrebbe essere anche il contrario, con una Grecia esempio mirabile e capofila. In ogni caso, il ministro Varoufakis si attende un accordo già lunedì per scongiurare il famigerato “grexit”.
A prescindere da tutto, euro o non euro, resterebbe un dovere morale soprattutto per noi, cittadini europei, sostenere il popolo greco nella sua ripresa economica, a partire dagli acquisti dei loro prodotti e dalla scelta delle mete delle nostre vacanze. Se il debito non dovesse essere rinegoziato, potremmo attendere l’8 dicembre con l’Anno Santo della Misericordia che verrà aperto da papa Francesco; storicamente i giubilei venivano proclamati appunto per condonare di tutti i debiti e liberare tutti carcerati: quale occasione più propizia di questa, anche per la Chiesa e i cattolici che volessero far sentire la propria voce? Per concludere, citando nuovamente Bagnai, “ricordiamoci tutti che la Germania non è Merkel: Merkel non resterà, resterà Bach” ma si potrebbe dire analogamente che “la Grecia non è Tsipras: Tsipras non resterà, resterà tutta la cultura greca”. Non a caso qualcuno – che prima di guardarsi in faccia si permette di definire “pirla” il lungimirante filosofo italiano Giovanni Gentile – vorrebbe rimuovere il lascito della grecità per dimenticarsi dell’esistenza di Dike, e anche dell’umanità.