Grecia e referendum: un no europeista
Il destino dell’Europa è nelle mani del popolo Greco, che si esprimerà oggi con un referendum su un piano europeo di aiuti offerto in cambio di precisi cambi alle politiche sociali, fiscali, economiche del proprio paese. Sovrano. La Grecia, potrebbe diventare simbolo della prima, grande sconfitta dell’Europa dal dopoguerra ad oggi.
In questi giorni, l’intera opinione pubblica continentale è divisa tra chi, mosso dalla solidarietà, sostiene il popolo greco e chi, al contrario, difende il modello del rigore mitteleuropeo ad ogni costo. Quasi chiedendo una punizione retributiva alla Grecia, per i disastri compiuti negli anni precedenti.
Paradossalmente, questa crisi è la prima, grande questione che apre a un dibattito politico europeo tutto il continente, unendolo. La verità, scevra da faziosità e opinioni, addosa inevitabilmente molte responsabilità per la situazione attuale ai governi greci degli ultimi anni. Bilanci truccati, una spesa pubblica insostenibile e senza alcun controllo: alla Grecia l’Europa ha chiesto con ragione riforme strutturali importanti. Sanguinose quanto necessarie, anche al suo stesso futuro.
Ma seppur dalla parte della ragione, leader europei e tecnocrati di Bruxelles, con ben poca lungimiranza, hanno saputo trasformare un fiocco di neve, in una valanga dalla quale rischia di essere travolta l’Europa tutta. Imponendo una serie di regole stupidamente rigide, ha impedito ogni possibile sviluppo alla Grecia, abbandonando in nome del rigore suoi principi fondanti quali uguaglianza, dignità.
In un paradosso di cui prima e unica vittima è stato il popolo greco, ha negato ad Atene l’ossigeno per attuare le riforme richieste; ogni prospettiva di crescita economica e sociale per il popolo greco è affogata, insieme alla sua economia reale. Il paziente, malato per sue colpe, si è trasformato in moribondo, ricattato da chi ne ha e continua a imporre le cure e chiedere sangue, necessario alle stesse.
Certamente, Alexis Tsipras incarna, oggi, la difesa strenua di una delle burocrazie pubbliche occidentali più costose e di uno dei sistemi pensionistici meno sostenibili del mondo, alla quale aggiunge una buona dose di ideologia e demagogia anticapitalista. Ma non si deve correre il rischio di confondere causa ed effetto. Tsipras è l’ultima, disperata carta che un popolo sovrano, nudo ed umiliato, ha giocato contro un’autorità tecnocratica che ne ha tenuto in scacco sovranità e scelte degli ultimi anni.
Tsipras, insieme ai vari Podemos, Grillo, Le Pen e tante altre derive populistiche europee, è l’effetto di un’Europa che ha clamorosamente fallito. Non la sua causa. Di fronte alla crisi greca, l’Europa si è sciolta come neve al sole e scoprendosi non all’altezza di un problema che, conti alla mano, è marginale: solo l’1% del suo Pil e il 3% del suo debito totale.
L’Europa finanziaria, l’Europa dei numeri è un incubo che non avremmo mai dovuto concepire, che si è limitato a ridurre una crisi politica su un piano meramente tecnico, senza neanche tentare la ricerca di risposte unitarie, o politiche. Anche riguardo alle altre grandi questioni dalle quali siamo stati travolti in questi giorni, come occidentali ed europei: immigrazione, terrorismo, politica estera; l’Europa ha sempre rinunciato anche solo a cercare una risposta politica unitaria, preferendone egoismi nazionali e interessi locali.
Scoprendosi, inevitabilmente e regolarmente, debole e inadeguata. È ormai evidente che senza un’unione politica, l’Unione europea non esista più.
Lontana anni luce dal meraviglioso sogno dei suoi padri fondatori, l’Europa dei numeri è priva di un’identità comune, di solidarietà, di visione comune, scoprendosi tristemente solo un macigno sulle spalle dei suoi paesi membri, non un’opportunità.
L’unica possibilità di sopravvivere, per l’Europa di oggi, è di tornare ad essere proposta come un’unione di politiche, valori, cultura.
E in quest’ottica, la Grecia non solo è essenziale per ovvie ragioni storiche e geopolitiche, ma è il fondamento stesso del suo passato e del suo futuro.
Il referendum di oggi, in realtà, non riguarda un grigio piano finanziario, nè fronteggia Dracma ed Euro: ai Greci è posta una questione squisitamente politica, sulla figura di Alexis Tsipras e sul suo governo.
Pochi mesi fa vinse le elezioni politiche, ponendo come base del suo programma elettorale l’imposizione di negoziati positivi alla Grecia in sede europea. Oggi, che è saltato il banco ed è stato messo spalle al muro con un ultimatum da dentro o fuori, Tsipras chiede al suo popolo la legittimazione per continuare. L’Europa, intanto, guarda con fastidio e insofferenza a questo sussulto democratico, di un paese membro sovrano e che qualcosa, sulla democrazia, ha pur da raccontare al mondo.
Se domani mattina si scoprirà vincitore il no, Tsipras potrà continuare a ricercare il cambio di politiche dell’eurozona. Che non sarà, un semplice accordo per la Grecia, ma un cambio di politiche molto più ampio che coinvolgerà i paesi membri tutti.
Se vincerà il sì, i greci avranno definitivamente accettato l’abbandono della propria sovranità, cedendola a tecnocrati mitteleuropei che potranno così decidere anche su questioni minime, come se alzare o meno l’Iva sul loro pane, tagliare o meno gli aiuti alle loro parti sociali più deboli o agli abitanti delle loro isole.
Quel che è certo, è che l’Europa naviga da oggi in acque inesplorate, e da lunedì si riscoprirà diversa.
Tsipras, può vantare un innegabile merito storico, già riconosciutoli trasversalmente: l’aver messo a nudo l’Europa di fronte alle sue contraddizioni. I nuovi leader, potranno scegliere se affrontare il futuro proseguendo su un piano ottusamente tecnico come ricercato finora, con i risultati che conosciamo. Oppure, potranno affrontare le crisi ricercando massicce dosi di politica. Per restituire quel sogno, che era l’Europa. Una comunità di valori, cultura e diritti, che ha saputo donare al mondo i suoi più eccezionali traguardi. Fondati con orgoglio, nelle sue radici ellenistiche.
Giorgio Borrini