Pensioni greche, il vero problema sono i pochi lavoratori
Pensioni greche, il vero problema sono i pochi lavoratori
Si è parlato e si parlerà ampiamente nelle possibili prossime trattative tra i greci e i creditori dopo la vittoria del No e le dimissioni di Varoufakis, del problema delle pensioni greche.
Come abbiamo detto con la crisi la Grecia ha raggiunto il livello più alto di spesa per le pensioni sul PIL, quasi il 18%, più dell’Italia che sfiora il 17%, a fronte del 12% della Germania e la media europea di meno del 14%
Chiaramente a questi valori ha contribuito la legge sulle pensioni greca, che, nonostante sia stata riformata sia nel 2010 che nel 2012, prevede ancora condizioni vantaggiose per coloro cui mancano pochi anni al ritiro e possono usufruire della pensione anticipata, del resto scelta dai più: il 57% a fine 2014 andava in pensione prima dei 62 anni, e lo faceva addirittura il 75% dei dipendenti pubblici.
Per esempio nelle condizioni della ex troika vi era la richiesta di taglio del sussidio che portava le pensioni minime a 700€ (in Italia 500€), una l’imposizione della data certa del 2022 per l’entrata in vigore dell’età di pensionamento di 67 anni e il blocco delle pensioni stesse. Per cercare di diminuire dell’1% del PIL questa spesa ormai decollata anche oltre livelli italiani.
Tuttavia non si può negare che tra le ragioni dell’aumento della spesa pensionistica vi sia la demografia (la Grecia è il terzo Paese più vecchio d’Europa dopo Italia e Germania) e soprattutto il crollo del denominatore, il PIL. Del resto è anche vero quanto fanno notare coloro che portano il seguente grafico a esempio:
Di fatto è vero che la spesa per anziano è minore che in Italia, Germania, Francia, Austria.
E’ lo stesso discorso tuttavia che viene fatto per la spesa pubblica: è vero che in Grecia come in Italia quella primaria non è alta in valore assoluto, ma conta l’aspetto qualitativo e la proporzione rispetto ad altre grandezze, per esempio la composizione della spesa greca è sbilanciata a favore di stipendi e pensioni, mentre queste ultime non riescono a essere finanziate dai contributi dei lavoratori, che sono rimasti pochissimi.
Pensioni greche: sempre meno i lavoratori che le finanziano
Siamo arrivati quindi al cuore del problema, che rimarrà tale anche qualora venisse riformato come è necessario il sistema pensionistico: ci sono troppo pochi lavoratori che pagano contributi per mantenere le pensioni di un numero crescente di anziani.
Vediamo di seguito come è evoluto il tasso di occupazione greco, ovvero la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni con un lavoro, una crescita dal 56% al 61% tra il 1999 e il 2008 aveva portato la Grecia ad avere più lavoratori dell’Italia che aveva solo sfiorato nel 2008 il 59%, ma con la recessione il crollo è stato tragico, dal 61% al 48%, ben il 13% in meno in 5 anni
Si noti la leggera ma ben visibile ripresa cominciata nel 2014, almeno prima dell’avvento di Tsipras.
Questa è la causa dell’aumento della spesa pensionistica, una diminuzione di gettito, in particolare di contributi dei lavoratori, che non ha simili in Europa.
Infatti vediamo un confronto con altri Paesi, la Germania e l’Italia, e la media europea, da dati Eurostat. Qui l’età è 20-64 anni, più realistica, ma si vede il calo del tasso di occupazione, in Italia, solo leggermente superiore a quello medio europeo, e invece l’aumento dell’occupazione in Germania, e il crollo greco, dal 66% al 54%
E’ chiaro che con questi dati, con un numero così ridotto di lavoratori, le pensioni potranno essere pagate solo attingendo alla tassazione comune, e quindi diminuendo investimenti in altri settori e il welfare, in un circolo vizioso che non favorisce altra occupazione.
Per questo oltre alla riforma del sistema pensionistico è obbligatorio che riprenda la crescita. Una crescita che in realtà in Grecia era iniziata, e a fine 2014, prima delle elezioni di gennaio 2015 vedeva il Paese ellenico mettere a segno un +2% tendenziale. Ora sono forse pochi a ricordarlo, ma l’avvento di Tsipras ha prima di tutto bloccato quella ripresa.
Avendo un sistema produttivo debolissimo la Grecia avrebbe bisogno di investimenti diretti, ed è questo il motivo per cui le istituzioni europee non potevano accettare un piano fatto solo di maggiori tasse, soprattutto sulle imprese, come quello proposto dal governo di Syriza.
Di seguito vediamo un elenco di Paesi europei per numero di progetti e di posti di lavoro creati tramite FDI (Foreign Direct Investments). l’Inghilterra è in testa, seguita da Germania, Francia, Spagna. Rispetto alla popolazione buone le performances del Benelux e dell’Irlanda
Come si vede l’Italia non compare, ma in una classifica dell’attrattività per gli investimenti stilata dall’azienda di consulenza strategica A.T. Kearney scaliamo le posizioni, andiamo dal 20esimo posto del 2014 al 12esimo del 2015, davanti a Svizzera o Paesi Bassi
E la Grecia? Beh, manca, questa è una tragedia per un piccolo Paese che non ha una tradizione manifatturiera e che può solo sperare in un intervento di investitori stranieri che trovino sicuro e conveniente portare produzioni sul suo territorio.
Solo la crescita e quindi l’occupazione possono permettere allo Stato greco si pagare le pensioni, neanche una riforma simil-Fornero potrà bastare, pur se necessaria.
Infine, si guardi a seguente grafico, riguarda il Sud Italia, e in particolare le donne: al Sud e nelle isole vi sono più pensionate che lavoratrici, come in Grecia. Ben il 21-22% in più. Un’altra situazione insostenibile da sanare.
La Grecia non è poi così lontana