Senza un accordo con la minoranza del Pd, se non addirittura senza delle vere e proprie concessioni, difficilmente la riforma del Senato vedrà la luce. Nonostante l’ottimismo ostentato dal premier sul cammino del Ddl che dovrebbe dar vita al nuovo Senato delle Autonomie, i numeri di Palazzo Madama mettono in crisi l’esecutivo.
La maggioranza al Senato traballa – Secondo quanto riportato da Dagospia, la maggioranza sui cui il governo Renzi potrebbe contare per una celere approvazione della riforma del Senato sarebbe piuttosto risicata. Attualmente 7 senatori di maggioranza, che potrebbero diventare 9 nel caso in cui si unissero Sandro Bondi e Manuela Repetti, transitati nel marzo scorso dall’ex Popolo della Libertà al Gruppo Misto. Aggiungendo anche i senatori seguaci di Denis Verdini (Fi), che Dagospia stima in 12 circa, la riforma del Senato potrebbe avere un margine di sicurezza di 21 voti.
L’opposizione della minoraza Pd – Se fossero questi i numeri, Matteo Renzi potrebbe forse dormire sogni tranquilli. Ma il premier sa benissimo che i problemi potrebbero arrivare dal fronte della minoranza dem: contro l’attuale testo della riforma del Senato si sono infatti già espressi 25 senatori del Partito Democratico. Un gruppo di opposizione che, secondo Dagospia, potrebbe allargarsi fino a 30 membri del Senato. I 21 voti di sicurezza calcolati prima sarebbero così nulli: il governo potrebbe addirittura andare sotto di 9 voti. Forse anche per questo il premier ha tolto il piede dall’acceleratore e secondo molti alla fine i numeri di Palazzo Madama lo obbligheranno a mediare con la minoranza del Pd.
Renzi tratta, ma i tempi si allungano – Se la trattativa e il dialogo tra Renzi e la minoranza dovesse portare a nuove modifiche della riforma del Senato, l’iter legislativo ricomincerebbe quasi da capo. Ci sarebbe bisogno di altre due letture nei rami del Parlamento, col risultato che l’idea di far votare assieme elezioni comunali e referendum sulla riforma costituzionale nella prossima primavera sarebbe impraticabile. Sicuramente i fedelissimi del premier tenteranno di far desistere qualche dissidente dal “boicottaggio”, ma i numeri spesso valgono più di mille parole. Ad oggi, il governo rischia seriamente di andare sotto al momento del voto.