Grecia: quando NO vuol dire SI
E’ passata una settimana dal referendum greco, e nulla sembra andare per il verso atteso.
Tsipras avrebbe dovuto uscire rafforzato dalla vittoria del NO, ma il rischio Grexit ha indebolito sia la Grecia che l’Europa.
Il NO si è trasformato prima in una ghigliottina per Varoufakis, e poi – per la necessità di trovare un accordo con i creditori sta diventando le Forche Caudine del Governo di Syrizia.
Gli aiuti che il 3 luglio ammontavano a 7,6Mld sono ora di 72Mld (10 volte tanto, seppur in 5 anni); le proporzionali richieste dei creditori mettono a nudo la debolezza economica e politica del Paese, mentre la divergenza a concedere aiuti evidenzia la fragilità politica dell’Unione.
L’austerity che la Grecia pianificava 10 giorni fa, oggi si annuncia più dura e più lunga, e quel piano che non incontrava il gradimento dei creditori per uno 0,5% del PIL è oggi più duro per i greci e più opaco per l’Europa.
Ieri notte l’Eurogruppo che avrebbe dovuto avvallare la permanenza della Grecia nell’Euro, non ha deciso – indice che non si fida (voi lo fareste?) e/o che le proposte sul piatto non convincono. Lascia così la palla alla conferenza di oggi dei Capi di Stato e Governo: la soluzione dovrà essere – giustamente – politica.
Ed alla politica si è richiamato anche Draghi lo scorso martedì, quando avrebbe potuto chiudere alla Grecia la liquidità di emergenza e spingerla fuori dall’Euro. Ma in questa storia la Moneta non è il virus, ma solo il termometro della crisi Politica dell’Europa, ed è quindi giusto che sia essa a rispondere.
Su cosa risponderà, o su cosa dobbiamo augurarci, qualunque risposta scatenerebbe un vespaio.
Avvallarne la permanenza significherebbe legittimare altri governi ad attuare medesimi comportamenti: tanto poi la scappatoia si trova.
Lasciarli uscire – oltre probabilmente a generare un problema umanitario – diventerà benzina del motore dei partiti populisti ed estremisti anti-Euro.
Auguri a chi oggi dovrà prendersi la responsabilità della scelta.