La giornata di venerdì 2 marzo 2012 ha le carte in regola per essere ricordata come una data simbolo della crisi economica mondiale, almeno per quanto riguarda il nostro Paese.
Il mercato, per la prima volta da quando la crisi si è trasferita ai debiti sovrani, ha ritenuto l’Italia un Paese di pari affidabilità rispetto alla Spagna.
Spread italiano e spagnolo (2011-2012) |
Differenziale tra lo spread italiano e quello spagnolo (2011-2012) |
Il primo grafico mostra l’andamento dello spread di Spagna e Italia nel 2011 ed in questo primo scorcio di 2012, mentre il secondo si focalizza sulla differenza tra i due dati, evidenziando il differenziale di fiducia goduta dai titoli decennali dei due Paesi sui mercati finanziari.
[ad]Come si vede, l’Italia partiva ad inizio anno con un credito di fiducia piuttosto consistente rispetto agli iberici, credito che con alti e bassi è perdurato fino al mese di luglio. In quel periodo si parlava sempre crisi finanziaria, di esposizione delle banche e di ripercussioni sull’economia reale, ma le entità statali – salvo la Grecia e marginalmente Irlanda e Portogallo – non erano ancora state direttamente coinvolte come attori protagonisti della crisi. I migliori dati italiani in termini tanto di produzione e solidità industriale quanto di occupazione, nonché di esposizione dei principali istituti di credito, erano quindi garanzia della migliore predisposizione del nostro Paese a fronteggiare la crisi, a patto di avere una politica in grado di mettere in atto le contromisure necessarie per combattere la progressiva corrosione dell’economia reale via via che la spirale del debito si avvitava su sé stessa.
Il mese di luglio ha segnato un vero punto di svolta nel rapporto tenuto dai mercati finanziari con i due paesi; le vicende politiche italiane di quei mesi sono ben note, la famosa manovra in appena quattro giorni, la sottovalutazione della portata della crisi ed i frenetici correttivi che si sono succeduti durante l’estate. In quel frangente l’Italia ha perso tutto il vantaggio di credibilità accumulato sulla Spagna, arrivando ad avere il 5 agosto un differenziale negativo rispetto agli iberici, cosa che non accadeva dal 21 aprile 2010, un tempo finanziariamente lontanissimo in cui lo spread era saldamente sotto i 100 punti base. Dopo un breve controsorpasso, il 22 agosto 2011 la Spagna nuovamente superava l’Italia per iniziare un lungo periodo di maggior credito nelle preferenze dei mercati che solo oggi può considerarsi concluso.
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[ad]Italia e Spagna hanno compiuto scelte politiche profondamente differenti in termini qualitativi ma piuttosto ravvicinate a livello temporale, coincidenza che permette di eseguire raffronti che consentano, opportunamente filtrati dalle variabili macroeconomiche comunque indipendenti dalle scelte politiche contingenti, quale Paese abbia intrapreso la strada più vantaggiosa in termini di credibiità sui mercati, che poi significa in minori interessi pagati dalle casse dello Stato agli investitori sul mercato obbligazionario.
Le forze politiche italiane, tra un Berlusconi in grado comunque di sopravvivere per pochi voti in Parlamento ed un’opposizione poco desiderosa di trovarsi a sua volta ai posti di comando in un periodo così delicato, hanno – sotto l’abile regia del Presidente della Repubblica – deciso di non affrontare una campagna elettorale ed una sessione di votazioni, arrivando a convergere sul nome di Mario Monti. Il 12 novembre 2011, constatata l’esistenza di una maggioranza numerica ma non più politica alla Camera dei Deputati, si dimetteva il premier Silvio Berlusconi, ed appena quattro giorni dopo, il 16 novembre, prendeva vita il Governo Monti I, un esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza parlamentare comunque derivante dalle elezioni politiche del 2008. In Spagna, al contrario, il 29 luglio 2011 il premier Zapatero decideva per le proprie dimissioni, fissando la convocazione dei comizi elettorali e aprendo la strada alle elezioni anticipate del 20 novembre, poi vinte dal centrodestra di Rajoy.
Due scelte diametralmente opposte, che tuttavia fissano alcune date chiave utili per seguire alcuni confronti importanti.
Come accennato, nei mesi di luglio e agosto la Spagna compì il suo sorpasso sul nostro Paese, e proprio il 29 luglio arrivò l’annuncio delle elezioni anticipate spagnole. I mercati premiarono il coraggio democratico della Spagna? La risposta è in realtà negativa per due ragioni: in primo luogo, alla notizia dell’annuncio, ovvero nei giorni immediatamente seguenti, non si registrò un calo dello apreadiberico; in secondo luogo, il forte calo che si ebbe a partire dal 5 agosto non coinvolse solo la Spagna, ma anche numerosi altri Paesi europei, suggerendo un’origine esogena alla scelta politica spagnola.
Sempre restando a Madrid, è altrettanto vero che non vi sono evidenti sommovimenti dello spreadnella terza decade di novembre, a seguito cioè dell’appuntamento elettorale che determinò il passaggio della Spagna dal centrosinistra di Zapatero al centrodestra di Rajoy. Nuovamente, un brusco calo dello spread vi fu diversi giorni dopo, nella prima decade di dicembre, ma l’origine di un simile effetto, che nuovamente coinvolse gran parte dei Paesi europei, è da ricercarsi altrove, ed in particolare a Roma.
Sostanzialmente, l’andamento dello spread spagnolo si è dimostrato impermeabile agli appuntamenti elettorali e ai cambi di governo, così come non si sono evidenziati dei veri scalini in salita o in discesa in funzione di determinati provvedimenti presi dal vecchio o dal nuovo governo. Questo tende a classificare lo spread spagnolo come un derivato di funzioni macroeconomiche ben ancorate alla reale situazione del Paese, e pertando – pur tendendo a variare in accordo con altri Paesi Europei – soggetto a modificazioni endogene piuttosto lente e ponderate.
Radicalmente differente si è dimostrata la situazione italiana. Il 9 novembre 2011, tre giorni prima delle dimissioni di Berlusconi, lo spread dei titoli decennali italiani toccò il massimo dalla nascita dell’euro, ad un terrificante valore di 552 punti base. Il gap di fiducia tra i BTP e i titoli benchmark, i Bund tedeschi, era tale che Roma riusciva a piazzare le proprie obbligazioni solo promettendo olte 5 punti percentuale e mezzo di interesse in più rispetto a Berlino. Il differenziale con la Spagna, in quel momento, era a 142 punti.
Il giorno della nascita del Governo Monti, il 16 novembre, esattamente una settimana dopo, lo spreaditaliano era a 519 punti ed il differenziale con la Spagna ridotto a 60. Il valore del dato non sta tanto nel calo dello spread, comunque limitato, quanto nell’aver innescato una tratta discendente in controtendenza con la Spagna e altri Paesi europei. Nella staffetta tra Berlusconi e Monti, in sostanza, l’Italia ha individuato un fattore endogeno in grado di ridurre lo spread dei propri titoli di Stato.
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[ad]Altrettanto interessante è l’analisi del picco negativo del differenziale tra i titoli toccato il 6 dicembre. Esaminando ancora una volta le differenze a sette giorni, ovvero mettendo a confronto il 6 dicembre con il 30 novembre, si registrò un calo dello spread per l’Italia pari a 106 punti base, risultato condiviso – anche se non nelle proporzioni – anche da altri Paesi Europei ma la cui origine è da situare nel nostro Paese, ed in particolare con la presentazione della manovra economica soprannominata Salva-Italia.
La chiusura dell’anno si è dimostrata un periodo particolarmente critico per l’economia italiana, non per i valori assoluti dello spread quanto piuttosto per il differenziale con la Spagna, che il 30 dicembre toccò il picco massimo di 201 punti base: sembrava in quel momento che l’Italia si fosse completamente sganciata dal treno dei Paesi europei in grado di cavarserla e fosse ormai condannata a fare la fine della Grecia. Nuovamente, tuttavia, erano fattori interni alla situazione politica del Paese a determinare impatti sui dati economici; in particolare, particolarmente forti in quel periodo erano gli interrogativi sulla tenuta dell’esecutivo tecnico, se i partiti avrebbero accettato di approvare misure altamente impopolari o se avrebbero giocato al ribasso annacquando le proposte del Governo o addirittura decretando la fine dell’esperienza Monti.
Il passaggio al 2012 può invece essere considerato come un passaggio estremamente soddisfacente per l’Italia, in quanto lo spread si è progressivamente ridotto agli attuali 311 punti ed il differenziale con la Spagna si è azzerato. Come mai questa inversione di tendenza? Non è realistico parlare di miglioramenti economici significativi in Italia, così come non vi sono stati peggioramenti schock nell’economia spagnola. Vi sono stati tuttavia importanti rivolgimenti politici: Monti si è dimostrato più stabile di quello che i mercati inizialmente prevedevano, nel rapporto con i partiti che lo sostengono si è visto come sia il Governo ad avere il coltello dalla parte del manico nei confronti dell’opinione pubblica internazionale, grazie al proprio bagaglio di credibilità e rispetto.
Il deficit di credibilità internazionale, osservando il rovescio della medaglia, può tuttavia essere interpretato come un segno di solidità della nostra economia, i cui fondamentali, se supportati da un esecutivo autorevole, sono nettamente migliori dei pessimi differenziali ottenuti nei mesi precedenti.
L’andamento dello spread nel corso degli ultimi anni evidenzia una realtà quindi da tenere in considerazione: la politica, contrariamente a quanto si crede, ha ancora un grande impatto sull’economia. La credibilità del ceto politico, unita alla capacità percepita di riformare il Paese per adeguarlo a controbattere la crisi economica, gioca un ruolo cruciale nella fiducia che i mercati accordano agli Stati. L’accoglienza che i mercati hanno fornito a Monti, confrontata con il precedente andamento dello spread sotto Berlusconi e Tremonti, è un chiaro campanello di allarme per le forze politiche, centrodestra in primis: lo scarso appeal dei partiti nell’opinione pubblica è un sentimento condiviso sulle piazze finanziarie internazionali.
Questa esperienza di governo tecnico costituisce quindi anche per la politica un’importante occasione di rinnovamento, sotto la cupola protettiva di una figura di grande spessore. Eppure, anziché affrontare con autocritica il problema, la soluzione proposta dall’apparato partitico è quella di trascinare Monti in avventure di governo successive alla elezioni del 2013, nella speranza che il suo nome possa continuare ad essere di garanzia in Italia e all’estero, ma al contrario trascinando con sé il professore della Bocconi nel proprio vortice di sfiducia e rigetto da parte dell’opinione pubblica.