Isis: la demolizione del passato e l’ira contro le opere d’arte
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Isis: martelli, kalashnikov e bulldozer per distruggere siti archeologici di inestimabile importanza. Probabilmente ai miliziani dello Stato Islamico il Principe Miškin di Dostoevskij direbbe: “La bellezza salverà il mondo”.
Isis: l’ira contro le opere d’arte
Volta a descrivere un percorso di ricerca dell’Assoluto, questa massima celebre, e tutt’altro che banale, è il punto di partenza di molteplici riflessioni filosofico – estetiche. La bellezza, proiezione di pienezza e di perfezione, può essere raggiunta percorrendo la via dell’arte. Questa dimensione consacra e quasi conferisce un’aura divina a qualunque prodotto della poiesi artistica.
Commozione davanti ad uno di quei quadri in cui vien voglia di passeggiare; meraviglia di fronte alla luce del tramonto che filtra attraverso le arcate di un anfiteatro secolare; stupore al cospetto della magnificenza scultorea. Sono sensazioni note a chiunque custodisca la capacità di emozionarsi al cospetto della ricchezza del passato, mai troppo distante dal presente. Tuttavia, alla luce degli accadimenti più recenti, la naturalezza di tali sentimenti non sembra appartenere agli uomini dell’Isis.
Le mura di Ninive, i reperti del museo di Mosul, i siti archeologici di Nimrud e di Hatra sono stati, nei mesi scorsi, oggetto di distruzione. Questi atti rientrano in un’opera di “obliterazione del passato”, che guarda alla nascita di una nuova popolazione musulmana, slegata dai moderni Stati arabi. L’inizio di tali barbarie è da ricercare nell’assalto alla biblioteca e al museo di Mosul, nel quale – come si rileva dai video diffusi poi dall’Isis – alcuni uomini gettano a terra e decapitano statue e distruggono bassorilievi con trapani. Demoliti anche mosaici, iscrizioni e intarsi delle chilometriche mura di Ninive (antica capitale dell’impero assiro sotto il regno di Sennacherib) costruite nel 4700 a.C.
Neppure gli archeologi, che negli anni ‘80 diedero inizio agli scavi di Nimrud (capitale assira sotto Assurbanipal II), gioirebbero alla notizia che la furia devastatrice dei seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi non ha risparmiato le ziggurat, il tempio di Nabu e le tombe reali assire. Le medesime barbarie hanno riguardato i templi siti presso Hatra.
In queste zone arabiche, che pullulano di rare bellezze archeologiche, sembrerebbe davvero che Ishtar, dea dell’amore e della guerra, abbia abbandonato la terra per scendere negli Inferi, determinando uno scenario di devastazione e di inattività. Assenza di speranza e lutto. In molti attendono ed auspicano il ritorno della forza divina, dispensatrice di vita. Di tutto ciò una è la ragione più immediatamente riconoscibile: l’autofinanziamento mediante il commercio dei pezzi d’arte, su un mercato nero in espansione.
Isis: la demolizione del passato
Tuttavia non è la sola. Neanche “l’anarchia della guerra” è sufficiente a giustificare la violenza e l’irragionevolezza di questi atti. La scrittrice e femminista egiziana, Nawal El Saadawi, afferma che “la cultura, in ogni sua forma di espressione, è il migliore antidoto contro la demonizzazione dell’altro da sé, una demonizzazione che è spesso figlia dell’ignoranza. I tagliagole dell’Isis, e chi li finanzia, hanno una idea sessuofobica, asfissiante di società. Così distruggono i musei, luoghi della sapienza tramandata, come scacciano le ragazze dalle scuole. Perché una società acculturata è per loro una minaccia mortale”.
Pertanto è conclamata una ragione che attiene ad una “pulizia culturale”, per cedere il passo alla costruzione di una nuova identità irachena, che non abbia alcun termine di confronto con il passato e che sia essa stessa fondamento per un nuovo futuro. In ossequio a questo obiettivo, la furia distruttrice dell’Isis, presentandosi come adepta dell’iconoclastia, ha insita in sé una contraddizione: la demolizione di un’icona per la creazione di una nuova e ancor più forte. Quella di uomini che devastano e che a loro volta diventano idoli mediante la diffusione di filmati, manifestazione di onnipotenza e capaci di ricattare il mondo intero.
L’essenza di questi orrori non è di certo tradita dall’ultimo video diffuso: venticinque soldati siriani sono fucilati da altrettanti giovani, alcuni fra i 13 e 14 anni, nell’anfiteatro romano di Palmira. La dicotomia fra la bellezza architettonica e l’orrore della morte è ancor più evidente. La superficie dorata dell’anfiteatro romano contrasta con la bandiera nera dell’Isis. L’assenza della distruzione di “testimonianze mute e inermi di civiltà” è sostituita dall’abbattimento, crudo e spettacolare, di vite umane.
“La distruzione delle sculture del museo di Mosul è un crimine contro l’umanità, che impone un Tribunale Internazionale, come quello di Norimberga, per perseguire i criminali che lo hanno compiuto”. Potrebbero sembrare avventate le parole di Vittorio Sgarbi ma, se le Nazioni Unite ne tenessero conto, impatterebbero sulla maggioranza delle popolazioni locali, motivandole alla difesa di un patrimonio economico, oltre che artistico.
Probabilmente, però, tutti gli uomini giudicati si rivelerebbero simili all’arendtiano aguzzino Adolf Eichmann: cultori di un linguaggio “burocrate”, meri esecutori degli ordini del califfo e incapaci di discernere fra il bene e il male. La sublimità della ragione umana sarebbe sconfitta da un moderno conformismo, che si traduce in antiche barbarie.
Pensare e dialogare con sé stessi. Sono gli antidoti per evitare di cadere nella “banalità del male”.
Valentina Femminilli
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)