(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Tuareg: è arido e impervio, ma perfetto nell’architettura delle sue dune; il suo volto è trasformato da prepotenti folate di vento, che confondono le sfumature della sabbia dorata; è imponente nella sua estensione, che quasi sovrasta la volta celeste. Il deserto del Sahara sembra danzare all’orizzonte. Fra le vibrazioni dei suoi confini si stagliano figure umane, pronte a dare ristoro al viandante stanco. Queste sono le persone della popolazione Tuareg, matrilineare e progredita nel suo nomadismo.
Tuareg: non solo donne “senza velo”
Sono comunemente conosciuti come gli “uomini blu del deserto”, per via della sciarpa colorata che avvolge i visi maschili, lasciando scoperti solo gli occhi. Le donne, che godono di una libertà tutta occidentale, hanno “volti bellissimi”, contornati da lunghi capelli corvini; colorano la propria pelle usando una tintura di ocra rossa a scopo protettivo; indossano leggerissimi teli variopinti e calzano sandali di cuoio; come gli uomini, si adornano con gioielli di argento finemente lavorato. L’assenza del velo sulle loro teste lascia presagire un’autonomia ben distante da quella delle donne del Califfato, tanto da guadagnare l’avversione dell’integerrimo Stato Islamico.
Alla monogamia tribale si contrappone una dimensione poligama, tipicità della civiltà islamica. Si dimentichino gli harem dipinti da Ingres: odalische adagiate su sofà ricoperti di cuscini, entro stanze dalle pareti dorate e ornate da tendaggi vermigli. Scene evocative di un’atmosfera intima e sensuale, che quasi consente di percepire l’odore degli oli profumati e dell’incenso. Fascino e idillio sono sensazioni ben lontane dalle condizioni in cui versano le donne dei miliziani dello Stato Islamico.
Tuareg: un manuale aberrante
Nientemeno che un manuale è stato redatto per chiarire la loro posizione nel Califfato e il genere di vita che per esse viene auspicato. È rifiutata qualunque condotta che consenta di entrare in contatto con idee corrotte ed avverse al credo religioso: le donne si devono dedicare allo studio del Corano e alla comprensione delle norme che regolano il matrimonio e il divorzio; devono saper svolgere ogni sorta di lavoro domestico.
Le redattrici del documento citato sono le soldatesse della brigata di Al-Khanssaa, composta da donne fra i 19 e i 20 anni, prevalentemente francesi e inglesi, con l’obiettivo di combattere contro i miscredenti. Condividendo un integralismo oscurantista e alienante, sotto diversi profili, per la figura femminile, queste scelgono di porsi a capo della gestione di bordelli, entro i quali i soldati dello Stato Islamico possono vedere ricompensato il proprio valore in battaglia.
Tuareg: i bordelli del Califfato
Bambine per la maggior parte minorenni popolano le case-prigione; una volta ridotte in schiavitù, subiscono nell’arco di una giornata, da parte dei miliziani, ripetute violenze, fonte di vergogna e imbarazzo incolpevoli. “C’è una parte di me che vorrebbe morire all’istante, sprofondare sotto terra e restarci per sempre” spiega Mayat, schiava diciassettenne in uno dei bordelli della piana di Ninive.
Una realtà che distorce la nobiltà dell’intelletto, a cui si affianca un’interpretazione fondamentalista dei testi sacri, tale da limitare la semplice quotidianità delle donne. Nel Califfato non è consentito uscire senza l’accompagnamento di un guardiano e, solo con questo, è possibile usufruire del trasporto pubblico; per mogli e figlie è obbligatorio indossare il velo saudita e abiti “che non le facciano riconoscere e violentare”; per evitare una “propagazione del peccato e del vizio” si auspica, inoltre, l’obbligatorietà dell’infibulazione.
Tuareg: libertà senza compromessi
Simbolo di pudore e della volontà di custodirsi per il proprio marito, il velo, come qualunque altra tradizione islamica, in questi termini, rischia di diventare emblema della sottomissione, tradendo l’assenza di qualunque costrizione, professata dall’Islamismo. Solamente scelte consapevoli e libere preservano la poesia che dovrebbe abbellire la vita di ogni donna, anche se la decisione è quella di celare il proprio volto dietro ad un tessuto nero o azzurro.
Di rime e assonanze sono fatti i componimenti che le donne Tuareg ricevono dai loro corteggiatori. Queste, prima del matrimonio, possono avere tutti gli amanti che desiderano, a cui è richiesto di lasciare la tenda prima dell’alba; decidono sul divorzio, danno feste per rendere noto che sono di nuovo disponibili, ottengono l’affidamento dei figli e continuano a beneficiare della proprietà della dimora e degli animali. Tali usanze contraddicono la barbarie che, quasi spontaneamente, viene associata ai predoni del deserto e si pongono agli antipodi di ogni interpretazione integralista.
Proprio così dovrebbe essere. Ciascuna donna dovrebbe poter decidere che colore dare alla sua esistenza, se pennellarla di nero o di bianco. A qualcuna dovrebbe essere addirittura concesso di scegliere il grigio, di indossare o meno il velo senza tradire il proprio credo religioso. Ciascuna dovrebbe poter stabilire se e con chi vivere quell’inaspettato “giovedì sera”, possibilmente, destinato a trasformarsi in un “bellissimo sabato sera”. Ciascuna dovrebbe poter scegliere l’uomo da amare, che le “porti il caffè e la poesia”. Ciascuna ha il diritto di trovare “un posto nel mondo, dove il cuore batte forte, dove rimani senza fiato per quanta emozione provi”.
Valentina Femminilli
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)