“Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io” dice un vecchio detto. E potrebbe essere anche il pensiero di Matteo Renzi che nei prossimi mesi dovrà affrontare diverse questioni bollenti. La prima in ordine di importanza arriva dalla Sicilia. Il governatore Rosario Crocetta ha deciso di andare allo scontro. “Non mi dimetterò” ha detto oggi il governatore di fronte all’Ars, il parlamento siciliano. Lo sbocco ultimo è la sfiducia a Crocetta, ma i tempi non giocano a favore del premier. Uno scioglimento del governo in Sicilia rischierebbe di far vincere alle prossime elezioni il M5S che infatti aspetta al di là del guado “Abbiamo già presentato due sfiducie in passato. Si muova adesso il Pd, senza giochetti” ha commentato Giancarlo Cancelleri, uno dei 14 esponenti grillini dell’Ars siciliana.
Il caso De Luca rientra, Marino no
E se intanto il caso Vincenzo De Luca pare rientrare (ieri il Tribunale di Napoli ha confermato la sospensione della sospensione, instillando dubbi di costituzionalità sulla legge Severino), quello di Roma appare sempre più problematico da gestire. Non sono bastate le polemiche sui disservizi della metro C e quelle tra sindaco e manifestanti. Ora a infilare il dito nella piaga ci pensano anche gli americani. Il New York Times ha infatti dedicato un ampio articolo al degrado della Capitale e alla poca fiducia dei cittadini nel loro sindaco. “Non tutti i problemi sono necessariamente colpa del sindaco Ignazio Marino, ex chirurgo la cui integrità resta senza macchia. Ma, cosa strana, a Roma, la sua correttezza non viene necessariamente considerata parte della soluzione” scrive il quotidiano americano.
Minoranza interna riottosa
Ma i problemi di Renzi non finiscono qui. Il premier se la deve vedere anche con la minoranza interna, tornata riottosa dopo l’annunciata rivoluzione fiscale (lodata oggi da Confindustria) e la scrittura del nuovo Statuto del Pd (si pensa di aggiungere come norma l’espulsione diretta per chi non segue la linea del partito). Soprattutto dagli ex dirigenti della Ditta arrivano le stoccate più velenose. Comincia l’ex segretario Pier Luigi Bersani. “Matteo, ti ricordi sì di quando un segretario del Pd fece cambiare lo Statuto per far concorrere uno che lo voleva rottamare? Perchè lo fece? Per il Pd, perchè capiva che poteva succedere qualche rottura e che il disagio invece va rappresentato”. Continua l’ex premier Massimo D’Alema che non vede di buon occhio l’intesa sottobanco tra il capo del governo e Denis Verdini. “Verdini in maggioranza? Confluisce attorno al Pd un mondo che fa riflettere e che dovrebbe essere all’opposizione”.
L’aiuto di Verdini
Già Verdini. L’asso nella manica del premier oggi ha incontrato Silvio Berlusconi. I due hanno provato a riappacificarsi ma l’ex plenipotenziario azzurro è arrivato all’appuntamento con la lettera da inviare al presidente del Senato Pietro Grasso con la comunicazione della nascita del nuovo gruppo e l’adesione di 11 senatori in tutto (in realtà secondo Dagospia sarebbero solo sette). Segno che i giochi sono ormai chiusi.
E il premier?
Renzi osserva e cerca di sbrogliare tutta la matassa, fatta anche di scadenze e nuove leggi. C’è il ddl Rai con il voto finale il 31 luglio. Le unioni civili sono per ora congelate (ma si dovrebbe finire in agosto), la riforma costituzionale è rimandata a settembre. All’orizzonte rimane il taglio delle tasse promesso da Renzi. Da Bruxelles è però arrivato un avvertimento. “La Commissione esaminerà le misure che proporrà il governo italiano alla luce delle nostre regole sulla flessibilità” ha affermato il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici. Inoltre l’Italia, ricorda l’Ue, ha già beneficiato in primavera della clausola di flessibilità del patto di Stabilità, ottenendo un bonus di 6 miliardi. Come dire, non aspettatevene altri.