Usa: manca più di un anno alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti – si terranno l’8 novembre 2016 – ma la corsa per succedere a Barack Obama è già entrata nel vivo. Se sul versante democratico la vittoria alle primarie di Hillary Clinton, che veleggia ben oltre il 60% delle preferenze, pare essere cosa abbastanza scontata, le acque sembrano invece essere molto più agitate su quello repubblicano.
Usa: “ricostruire il sogno americano”
A sparigliare le carte ci ha pensato Donald Trump. Divenuto miliardario proseguendo le attività immobiliari di famiglia e famoso grazie al programma televisivo “The Apprentice”. Il suo nome ricorre da tempo quando si parla di elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Questa volta però è stato lui stesso a lanciarsi nella mischia, annunciando direttamente la sua candidatura alle primarie dei repubblicani lo scorso 16 giugno durante un comizio tenuto all’interno della Trump Tower.
Entrato trionfalmente su una scala mobile, Trump ha intrattenuto la platea per oltre 45 minuti concentrando l’attenzione sulla sua persona più che sul suo programma politico. “Make American great again”, lo slogan scelto, a sottolineare, come ha lui stesso affermato, “la voglia di ricostruire il sogno americano”. L’annuncio di Trump non è affatto passato inosservato.
Stando all’ultimo sondaggio Washington Post-ABCNews le preferenze per l’istrionico miliardario si attestano intorno al 24%. Nettamente staccati Scott Walker, governatore del Wisconsin, al 13% e Jeb Bush, l’ultimo erede della dinastia, al 12%. I sondaggi, soprattutto così lontani dalle elezioni, possono anche essere poco indicativi ma certo è che Trump è stato finora bravissimo a monopolizzare l’attenzione dei media. Le sue uscite lo hanno posto al centro del dibattito pubblico accrescendone ulteriormente la visibilità.
Usa: un candidato controproducente?
Contrario all’immigrazione, ha esordito nel discorso di candidatura affermando di essere favorevole alla costruzione di una grande recinzione lungo il confine con il Messico, definendo i messicani entrati illegalmente nel paese “delinquenti e stupratori”.
In un comizio tenuto a Phoenix l’11 luglio il “ciclone” Trump si è spinto ancora oltre scagliandosi contro John McCain, candidato repubblicano nel 2008. “Il senatore John McCain non è un eroe di guerra. Si può chiamare eroe qualcuno che è stato catturato? A me piacciono gli altri, quelli che non furono catturati” ha dichiarato, attirando su di se fortissime critiche. Un’uscita che rischia, questa volta, di essere controproducente e che è stata censurata da più parti. La mossa di Trump è parsa sconsiderata soprattutto perché McCain gode di grande rispetto e considerazione da parte degli elettori ma ha avuto l’effetto di spaccare ulteriormente il fronte repubblicano.
Resta invece ancora poco chiaro lo sbocco politico che la sua campagna fuori dagli schemi potrà produrre perché finora più che i contenuti ha pagato la grande visibilità. Le grandi doti comunicative gli hanno permesso di monopolizzare l’attenzione, mediatica e non, irrompendo nel palcoscenico politico americano ma gli esperti sono pronti a scommettere che nel lungo periodo non potrà bastare.