Finlandia: dopo il “collasso” della Grecia, la generale crisi economica, le difficoltà di gestione legate alla questione Ucraina, dal paese scandinavo arrivano nuove ombre sulle politiche dell’Unione Europea.
Finlandia: a tutta austerity
La Finlandia è uno dei paesi che ha più sofferto la recente crisi economica, travolta da una recessione molto lenta ma prolungata nel tempo. Dal 2013 il sistema finlandese ha pessime prestazioni e il Pil continua lentamente ma costantemente a contrarsi; nel 2015 la produzione industriale è in calo del 5% e la disoccupazione si attesta intorno al 12%; anche il debito pubblico, benché non estremamente critico rispetto ad altri paesi Europei, negli ultimi sei anni è quasi raddoppiato passando da 63 a 121 miliardi di euro.
La crisi nel paese scandinavo può essere imputata sostanzialmente a tre cause: innanzitutto il declino della Nokia, completamente spazzata via dal mercato delle nuove tecnologie dalla Apple, accompagnato da una notevole diminuzione delle esportazioni nel settore della carta e del legno comparti trainanti per l’ economia del paese.
Nel 2011 l’ex primo ministro Alexander Stubb affermò che paradossalmente se l’iPhone stava uccidendo Nokia, l’iPad avrebbe fatto lo stesso con il business finlandese della carta. A tutto ciò deve aggiungersi un ulteriore elemento: le sanzioni comminate dall’Europa alla Russia, uno dei principali partner commerciali finlandesi, hanno rappresentato il colpo di grazia al sistema di import-export del paese scandinavo.
In questo contesto il nuovo premier Juha Sipila appartenente al partito di centro (Suomen Keskusta) ha deciso di proseguire nella politica di austerity che ha da sempre caratterizzato la politica finlandese e che ha portato, negli anni, al rispetto di tutti i vincoli posti dall’Unione Europea. Previsto dal governo, per reagire alla crisi, un piano di estremo rigore che andrà ad incidere, con forti tagli, soprattutto sui settori della sanità e dell’istruzione.
Finlandia: referendum nel 2016?
Nonostante il momento di difficoltà la Finlandia resta però uno dei paesi più ricchi e virtuosi dell’area Euro e in questa direzione il premier Sipila ha presentato un disegno di legge avente ad oggetto il reddito di cittadinanza. Mai prima d’ora un governo aveva presentato un piano per un reddito minimo così alto e di così ampia portata.
Un reddito universale fino a 1.000 euro per tutti i cittadini, a prescindere dalla loro età o situazione sociale che renderebbe il lavoro una “scelta di vita” e che sarebbe introdotto , all’inizio, nelle regioni con i tassi di disoccupazione più alta.
Questa situazione ha avuto però un ulteriore effetto, quello di allargare il fronte euroscettico nel paese. Stando all’analisi di alcuni economisti americani, su tutti Paul Krugman, se i problemi della Finlandia erano in qualche modo inevitabili, l’aver adottato l’euro ha reso questi problemi ancor più gravi.
Mantenere il marco avrebbe permesso di reagire alla crisi svalutando la propria moneta senza essere costretti a tagliare stipendi e budget. Utile in questo senso può essere il raffronto con paesi come la Svezia o la Danimarca che vivono situazioni economiche simili a quella finlandese ma che hanno reagito molto meglio alle difficoltà finanziarie perché non ingabbiati nella moneta unica.
In questa direzione , negli scorsi giorni, è iniziata una raccolta firma per un referendum sull’uscita dall’euro. L’iniziativa è stata lanciata da Paavo Väyrynen, ex ministro degli Esteri del paese e oggi deputato del Partito di Centro finlandese, e ha riscosso grande successo: in pochissimi giorni infatti sono state raccolte oltre 26mila firme. Affinché la proposta possa essere convertita in disegno di legge e discussa in Parlamento però è necessario che il numero dei consensi tocchi quota 50mila nei prossimi sei mesi.
“Il popolo della Finlandia deve avere la possibilità di scegliere se restare nell’eurozona o seguire l’esempio degli altri paesi dell’Europa settentrionale, cominciando a usare una nostra moneta in parallelo con l’euro” ha sottolineato Väyrynen. Il referendum potrebbe aver luogo già nei primi mesi del 2016. L’Unione Europea è quindi di fronte ad una nuova grande incognita.