Obama: il presidente Usa, alla fine della sua visita nel continente africano, invita l’Africa ad abbracciare i principi democratici, invece, dei soldi cinesi.
Obama: il discorso di Addis Abeba
Con il discorso di ieri di fronte ai rappresentanti dell’Unione Africana, riuniti ad Addis Abeba, si conclude la visita di 4 giorni nel continente di Barack Obama. Il presidente Usa si è scagliato in particolare contro quei presidente africani che, incuranti delle leggi e rischiando di gettare il proprio paese nel caos, fanno di tutto per rimanere al potere.
Il riferimento immediato è a Pierre Nkurunziza, presidente del Burundi, in corsa per un terzo mandato anche se la Costituzione del paese non glielo consentirebbe; casi analoghi si riscontrano in Congo-Brazzaville, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, per citare solo alcuni esempi. D’altra parte, non è che l’Etiopia, dalla quale ha pronunciato il discorso o il Kenya, altro approdo di Obama in Africa, possano dare lezioni a nessuno – neanche in Africa – in quanto a “democrazia” e “diritti”.
“Il progresso democratico dell’Africa è a rischio quando i leader decidono di non lasciare il potere una volta giunto il termine del proprio mandato – ha detto Obama, azzardando poi un difficile paragone con il sistema Usa – io penso di essere un buon presidente, se mi battessi avrei qualche possibilità ma non posso“. La platea gli ha tributato anche un grande applauso quando ha detto di non capire perché i leader africani sono tanto attaccati al potere “pur avendo ricevuto un sacco di soldi“. Insomma, se un leader “cerca di cambiare le regole a metà del gioco” per restare al potere, dicendo che solo lui può tenere insieme la propria nazione “vuol dire che non esiste nessuna nazione“.
Obama: meglio noi della Cina
Obama ha parlato di democrazia e diritti delle donne, della guerra civile in Sud Sudan e del contrasto all’AIDS ma il messaggio inviato ai leader africani riuniti ad Addis Abeba può essere riassunto in poche parole: “noi siamo meglio della Cina”. Nel discorso di Addis Abeba, pronunciato in un palazzo costruito con soldi cinesi tra l’altro, Obama lo ha detto anche senza mai nominare esplicitamente Pechino: “gli Usa non sono l’unico paese che vede la vostra crescita come un’opportunità, è una cosa buona, ma le relazioni economiche non si esauriscono nella costruzione di infrastrutture e nell’estrazione di risorse con manodopera straniera“.
L’Africa si merita di fare “affari migliori” ed è questo che l’America offre: affari che costituiscano un progresso per il continente e non per chi lo sfrutta, ha concluso “zoppicante” Obama. Nel frattempo i media cinesi lo schernivano: il suo uno sforzo debole, d’altra parte la battaglia è persa. “La sua retorica diplomatica non nasconde il suo nervosismo per l’ascesa cinese in Africa” si può leggere sul Global Times, giornale cinese in lingua inglese.
Gli investimenti Usa in Africa nel 2008 erano pari a 142 miliardi di dollari, ad oggi si sono ridotti fino a quota 73 miliardi; le relazioni della Cina con il continente, dati dello scorso anno, valgono 222 miliardi di dollari. L’Africa è il secondo maggiore fornitore di petrolio greggio per Pechino; la strategia cinese è semplice: si forniscono prestiti a basso tasso d’interesse in cambio di diritti petroliferi e minerari. Solo l’anno scorso sono stati versati in Africa 120 miliardi di dollari, si prevede l’arrivo di un trilione di dollari da parte cinese entro il 2025 per costruire ponti, strade e altre strutture fondamentali.