Non sapeva di aiutare Matacena a scappare? Usava impudicamente la scorta a sua insaputa? Claudio Scajola non potrà certo utilizzare lo stesso alibi del mezzanino con vista sul Colosseo pagata, per due terzi, dal ras degli appalti Diego Anemone. Già la prima volta, il ministro degli Interni dimissionario aveva scatenato l’ilarità di giornalisti, comici e osservatori esteri. Ma non ci sarà una replica, venerdì quando lo stesso Scajola sarà interrogato a Regina Coeli.
Se ne occuperanno il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio e il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Entrambi sono i due coordinatori dell’inchiesta che ha portato l’8 di maggio all’arresto dell’ex ministro degli Interni. Secondo fonti vicine all’inchiesta, inoltre, le indagini si stanno allargando con nuove iscrizioni. Ma i nuovi indagati rimangono anonimi perché, come confermato dal procuratore di Reggio Calabria Cafiero de Raho, “c’è il segreto istruttorio”.
L’arresto. Giovedì scorso, alle sei di mattina, Claudio Scajola era stato svegliato dagli agenti della Dia e portato in carcere con l’accusa di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena (ex Forza Italia), condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel dispositivo di cattura emesso dai pm che coordinano l’inchiesta si legge: “Le risultanze investigative costituiscono uno spaccato di drammatica portata, in grado di enfatizzare la gravità “politica” del comportamento penalmente rilevante consumato da Scajola, il cui disvalore aumenta a dismisura proprio nel momento in cui lo si mette in correlazione al delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso posto in essere da Matacena, da considerare la manifestazione socio-criminale più pericolosa per uno Stato di diritto che un ex parlamentare ed ex ministro dell’Interno dovrebbe avversare con tutte le sue forze e che, invece, consapevolmente sostiene, agevola, rafforza”.
Con lui erano state arrestate altre sette persone tra cui la moglie di Matacena Chiara Rizzo e la madre dello stesso Raffaella de Carolis. Nel primo interrogatorio di garanzia, Scajola si era avvalso della facoltà di non rispondere. “Ho trovato Scajola sereno, compatibilmente alla situazione. Ha chiarito i punti che abbiamo affrontato nel colloquio di stamattina ed è fiducioso di poter spiegare tutto anche ai magistrati” ha riferito l’avvocato dell’ex ministro, Elisabetta Busuito.
L’archivio sequestrato. Decine di faldoni e migliaia di documenti sono stati sequestrati a Scajola. Catalogati in una maniera che gli investigatori definiscono “maniacale”. Per nome e per argomenti. Per leggerli e passarli tutti sotto osservazione ci vorranno mesi. Ma potrebbero essere molto fruttuosi. “Una documentazione da esaminare e valutare” ha dichiarato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Nell’archivio è stata ritrovata anche una lettera attribuibile all’ex presidente libanese Gemayel in cui si parla del trasferimento di Matacena da Dubai al Libano.
La scorta. Scajola è accusato anche di aver utilizzato in maniera impropria la scorta. Gli agenti che lo seguivano, secondo i magistrati, erano “soggetti che risultano parte attiva e determinante a garantire agevoli spostamenti nel territorio italiano della moglie di Matacena”. Dopo la richiesta dei cinque stelle, il ministro degli Interni Alfano, stamane, ha avviato una procedura di inchiesta sulla vicenda.
Secondo Bertolami, all’epoca dirigente del reparto di polizia, intervistato dal Fatto, Scajola ai tempi del Viminale (2002) rinnovò la scorta a figure come Saadi Gheddafi, Totò Cuffaro e Francesco Storace per toglierla ad alcuni magistrati di Palermo e soprattutto a Marco Biagi che, poco dopo, sarà assassinato dalle Br a Bologna. Più tardi, Scajola definirà Biagi: “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”.