Hiroshima: alle 8 e 15 del 6 agosto di 70 anni fa, su Hiroshima veniva sganciata, dal B-29 “Enola Gay” pilotato dal colonnello Paul Tibbets, la bomba atomica “Little boy”. Tre giorni dopo anche la città di Nagasaki sarebbe stata colpita: 200mila i morti diretti, 150 mila gli “hibakusha”, i sopravvissuti che ancora soffrono per le radiazioni. Il dibattito sui primi, e finora anche gli ultimi, bombardamenti atomici a cui l’umanità abbia mai assistito è ancora in corso: “male necessario” per accorciare il secondo conflitto mondiale, prima “prova di forza” della guerra fredda che stava per cominciare, crimine di guerra, in ogni caso tutto il mondo riconosce la gravità di quell’evento.
Hiroshima: il discorso di Abe
C’era grande attesa per il discorso del primo ministro Shinzo Abe in occasione del settantesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima. Gli analisti a lungo si sono chiesti se Abe avrebbe ripetuto la cosiddetta “dichiarazione di Murayama”. L’anniversario di Hiroshima in Giappone è sempre molto sentito, ma quando scatta la “cifra tonda” assume un valore particolare. Nel 1995, in occasione del 50esimo anniversario, l’allora primo ministro Tomiichi Murayama chiese scusa ai vicini asiatici per le campagna di aggressione inaugurata dal Giappone negli anni ’20.
Nel 2005, ricorreva il 60esimo anniversario, il primo ministro Junichiro Koizumi, anche se non “parola per parola”, ha ribadito il concetto già espresso da Murayama. Molti si sono chiesti se Abe avrebbe o meno seguito la tradizione, ripetendo le parole “rimorso” e “aggressione”. D’altra parte, il primo ministro aveva già chiarito di non sentire il bisogno di citare la “dichiarazione”.
Alla fine, come primo ministro del Giappone, “l’unico paese che ha subito un attacco nucleare“, Abe si è semplicemente impegnato a promuovere alle Nazioni Unite una risoluzione contro la proliferazione nucleare. Insomma, la prima commemorazione in 70 anni a cui ha assistito anche un rappresentante Usa, l’ambasciatore Caroline Kennedy, non passerà alla storia se non proprio per quest’ultimo particolare.
Hiroshima: memoria che divide
Non si può capire l’importanza delle parole pronunciate di volta in volta dal primo ministro giapponese in occasione dell’anniversario di Hiroshima, se non si scorrono le vicende che ancora oggi dividono la coscienza nipponica sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Il simbolo della “discordia” è lo Yasukuni Jinja che, paradossalmente, significa “Tempio della Pace”. Nel 1978, in gran segreto, il Gran Sacerdote Matsudaira Nagayoshi convocò le famiglie di 14 dei 25 criminali di guerra di “Classe A” processati e giustiziati dal Tribunale di Tokio (la “Norimberga” giapponese). Le loro anime in pena, dopo una cerimonia di apoteosi, vennero trasformate in “kami” (cioè “divinità”). In tutto sono 1088 le anime di criminali di guerra custodite nel memoriale eretto per i soldati caduti al servizio dell’Imperatore.
Un esempio per capire facilmente cosa significhi quanto detto, soprattutto adesso che si avvicina la “festa delle anime”, l’ha offerto Pio D’Emilia su L’Espresso: è come se in Italia, invece, dei monumenti dedicati al “milite ignoto” ci fosse un unico monumento per ricordare partigiani, soldati e gerarchi fascisti. Da ciò si può capire quanto la “verità” storica in Giappone sia ancora ostaggio di una classe politica formata da “zokusejika”, ovvero i discendenti diretti di quei criminali di guerra accolti nel “Tempio della Pace” (lo stesso Abe è nipote di un criminale di guerra, Nobosuke Kishi, riabilitato dagli Usa e addirittura premier negli anni ’60).
Finché la classe politica giapponese – tra l’altro una delle più corrotte del mondo industrializzato – non dimostrerà che “il passato è passato”, le sue iniziative – non ultima quella che permetterebbe all’esercito di effettuare operazioni all’estero (al momento la Costituzione prevede l’uso della forza solo per “autodifesa”) – non potranno che essere guardate con sospetto, soprattutto dalle vicine Cina e Corea del Sud.