Norvegia: Utoya rinasce tra le contraddizioni
Norvegia: 4 anni dopo la strage compiuta dal fanatico religioso Anders Breivik, la gioventù del partito laburista norvegese ritorna a Utoya.
Norvegia: riapre Utoya
Gli attentati del 22 luglio 2011 fanno ancora molto male in Norvegia. Oltre a quello delle 8 persone morte nell’esplosione di un autobomba nel centro di Oslo, ancora oggi, il ricordo dei 69 ragazzi, il più piccolo aveva 14 anni e il più grande 20, uccisi da Anders Behring Breivik sull’isola di Utoya, dove si svolgeva il raduno estivo della Lega dei giovani lavoratori (AUF), sezione del Partito Laburista, non manca di trasformarsi in un incubo. Le attività estive del’AUF sono ricominciate nel 2013 ma in località di volta in volta diverse, il campo non era più stato organizzato sull’isola. Ieri oltre mille ragazzi sono tornati sui luoghi della strage.
La maggior parte degli edifici è stata rinnovata, ma nella caffetteria dove Breivik ha ucciso 16 persone ci sono ancora alcuni fori di proiettile. Sono lì a testimoniare che Utoya è una “ferita aperta”. 4 anni fa qualcosa nel tessuto sociale del paese si è strappato: per i norvegesi è difficile convivere con la consapevolezza che Breivik è “uno di loro”, un prodotto della propria way of life. Più difficile accettare che ce ne possano essere altri come lui. Dolore e paura, finora non c’è stato altro a cui aggrapparsi. Oggi, invece, riappropriarsi di Utoya significa lasciare spazio al coraggio, alla speranza. Il processo di elaborazione del lutto è ancora in corso, d’altra parte, il paese non vedeva l’ora che arrivasse la “resa dei conti” con i propri fantasmi.
Norvegia: un lungo percorso
Jens Stoltenberg, primo ministro nel 2011, il giorno successivo agli attacchi disse che si sarebbe potuti tornare a Utoya in un anno. No. Era troppo presto. Addirittura, uno studio di architetti nel 2012 ha presentato la bozza di un progetto per il rinnovo delle strutture dell’isola: i palazzi dove si era consumato il massacro sarebbero stati abbattuti. I famigliari delle vittime non potevano accettarlo. L’anno scorso proprio alcuni parenti delle vittime hanno scritto al premier Emma Solberg perché impedisse la riapertura di Utoya, perché l’isola diventasse un memoriale e solo quello.
Ancora oggi i sopravvissuti e i loro parenti hanno gravi problemi a tornare alla vita normale, a mantenere un lavoro, a gestire ansia, stress e attacchi di panico. Il loro dolore è reso ancora più atroce dal fatto di non poter scegliere come e quando ricordare i propri cari: la costruzione di un grande memoriale scolpito nella roccia, la scelta degli oggetti da esporre nel museo degli attentati, fa riaffiorare i ricordi e violenta la loro memoria.
Ma il massacro di Utoya riguarda la coscienza di un paese intero, l’intera Norvegia, che 4 anni dopo si guarda allo specchio e si scopre piena di contraddizioni. Dal 2013 al governo c’è una coalizione di centro destra che comprende il Partito del Progresso, formazione anti-immigrati, in cui Breivik ha militato per 9 anni, fino al 2005. Anche a sinistra, nel frattempo, si rivedono le proprie posizioni su integrazione e accoglienza, pensando che con il mantenimento di un sistema “troppo” liberale si faccia solo il gioco dell’estrema destra e di quelli come Breivik. La Norvegia ha perso l’innocenza quel giorno di luglio di 4 anni fa. Ritornare a Utoya ha portato comunque una ventata di freschezza.