In Finlandia, Jutta Urpilainen esce di scena. Dopo aver guidato il Partito Socialdemocratico per sei anni, è stata sconfitta da Antti Rinne nel congresso dello scorso fine settimana: 243 voti per Urpilainen e 257 per Rinne, che oltre alla carica di numero uno dei socialdemocratici erediterà da Urpilainen quasi certamente anche la poltrona di ministro delle Finanze. Per la Finlandia è l’ennesimo cambio ai vertici di un governo che tra poche settimane perderà anche il primo ministro Katainen.
Rinne ha già spiegato la sua ricetta per il partito e per la Finlandia: creazione di posti di lavoro, più stimoli all’economia, le persone al centro dell’attività politica. Le elezioni europee saranno il primo banco di prova. “Rinne non ha paura di apparire duro e inflessibile” ha spiegato all’agenzia Bloomberg il ricercatore Mari K. Niemi, “vuole raggiungere il cittadino medio, che pretende più buon senso e meno politically correct”.
A questo punto, però, la sopravvivenza del governo è sempre più incerta. La sconfitta di Urpilainen può essere letta come l’ennesima bocciatura per una maggioranza che in Finlandia ha portato avanti negli ultimi anni soprattutto politiche di austerity. Le trappole più insidiose potrebbero arrivare in autunno, ma già a giugno il governo potrà capire quante possibilità avrà di arrivare a fine legislatura. Sul tavolo ci sono il rimpasto di governo e le linee di politica economica varate in primavera. Katainen (che proprio ieri ha difeso in Parlamento le scelte del suo esecutivo) si è augurato di vedere negoziati rapidi, indolori, che non rimettano in discussione decisioni già prese.
In Svezia, nel corso di un’intervista con la Reuters, il leader del Partito Socialdemocratico Stefan Löfven ha restituito il colpo al centrodestra, che lo aveva attaccato nei giorni scorsi: Löfven ha detto che le politiche economiche dell’esecutivo non hanno prodotto alcuna diminuzione della disoccupazione ma sono state dettate solo da ragioni ideologiche.
Parlando di tasse, il leader socialdemocratico ha mostrato ancora una volta cautela: da una parte l’annuncio di un cambio di rotta (basta tagli indiscriminati, dice), dall’altra rassicurazioni (le tasse abolite in questi anni non verranno reintrodotte.) È questo ciò che serve al centrosinistra: non commettere errori da qui a settembre, difendendo un vantaggio che secondo i sondaggi tende ancora ad allargarsi piuttosto che a restringersi.
Anche il centrosinistra danese è impegnato nell’operazione recupero. La premier socialdemocratica Thorning-Schmidt guida un esecutivo indietro nel gradimento tra gli elettori. Va letto in quest’ottica il piano presentato giovedì scorso (il secondo in due anni) per portare il paese fuori dalla crisi: 89 proposte per lo sviluppo dell’economia danese.
“Anziché concentrarci solo su tasse e imposte, dobbiamo considerare la cosa complessivamente” ha spiegato Thorning-Schmidt. Nei piani del governo danese diventerà più semplice avviare un’attività e accedere al credito, verrà iniettata più concorrenza, per le imprese sarà più facile avere lavoratori qualificati.
In Norvegia queste sono state giornate impegnative per il governo. L’OCSE ha messo in guarda in paese: l’economia nei prossimi anni è destinata a mantenere una buona crescita (2,3 per cento nel 2014 e del 2,8 nel 2015) ma l’instabilità del prezzo del petrolio e le fluttuazioni del mercato immobiliare sono incognite da tenere d’occhio.
Motivi di preoccupazione arrivano anche dal fronte politico. Il partito della Destra della premier Erna Solberg sta perdendo colpi: 26,8 per cento secondo gli ultimi sondaggi. Agli elettori non è piaciuta la decisione del governo di non incontrare il Dalai Lama (che ha visitato la Norvegia proprio la scorsa settimana) così come non piace il caos che si è creato intorno alla candidatura di Oslo per le Olimpiadi invernali del 2022. Erna Solberg, per ora, non sembra preoccupata.