È una delle rivelazioni televisive degli ultimi anni. Dopo aver creato un blog quando internet era ancora uno strumento semisconosciuto per molti, con gli anni si è fatto conoscere e apprezzare attraverso i suoi video satirici nel programma Rai Parla con me, dove interpretava un militante del Pd alle prese con le mille contraddizioni di un soggetto politico dalla complicatissima gestazione. Nel 2013, poi, il grande passo in avanti: la conduzione di una trasmissione tutta sua, Gazebo, che ha riscosso un trascinante successo di pubblico e critica al punto da essere stato riconfermato già per la quarta volta all’interno dei palinsesti Rai. Stiamo parlando, ovviamente, di Diego Bianchi, noto anche come Zoro. Diego, però, non è soltanto un conduttore televisivo, ma una personalità assolutamente poliedrica: blogger, reporter, giornalista, regista e attore (proprio lo scorso anno è uscito Arance e martello, il suo primo film). E nel poco tempo libero che gli rimane, suona anche le percussioni con la Original Slammer Band, da oltre venticinque anni.
Incontriamo Zoro al Festival delle Storie, una rassegna culturale itinerante ideata e diretta dal giornalista Vittorio Macioce, che si snoda ogni anno nei paesi della Valle di Comino, ai piedi del Parco nazionale d’Abruzzo, durante la seconda metà di agosto. Con lui scambiamo quattro chiacchiere prima del suo intervento pubblico al festival, dove è l’ospite speciale della serata.
Diego, allora ci confermi ufficialmente che Gazebo sta per giungere alla sua quarta edizione?
Sì, ricominceremo il 27 settembre e andremo in onda la domenica e il giovedì, sempre in seconda serata su RaiTre. Inoltre durante l’anno ci saranno altre nuove incursioni in prima serata, come già avvenuto nell’ultima edizione.
Possiamo tracciare un bilancio delle prime tre stagioni?
Il bilancio fino ad ora è ottimo. Ci siamo radicati abbastanza sia su RaiTre sia nell’immaginario di chi ci segue, in particolare sui social. C’è stato poi un graduale crescendo che ci ha portato a fare anche cinque prime serate per chiudere la scorsa stagione. Pur sapendo che tutto si può e si deve migliorare, siamo comunque molto soddisfatti di quanto svolto fino ad ora.
In questi anni di programma, tra le altre cose, hai lanciato Missouri4, il tassista-sondaggista ormai divenuto un simbolo di Gazebo. Parlaci di lui…
Credo di aver creato un mostro, creare mostri d’altronde è sempre stata una delle mie specialità. Conobbi Mirko Matteucci (“in arte e al lavoro Missouri4”) qualche anno fa, mentre scioperava con la sua categoria. Io stavo realizzando un servizio sullo sciopero in questione e col tempo siamo diventati amici. Non serve descriverlo, il personaggio si presenta da sé e si giustifica da sé. Ho subito intuito, però, che dietro al “tassinaro” c’era anche molta sostanza. Il suo essere, per professione, continuamente in mezzo alla gente ci garantisce una sondaggistica affidabile. Al di là della recente alterazione in chiave renziana, lui è decisamente convinto di quello che fa. Assicuro che tutte le rilevazioni che ci propone sono veritiere al 100%. Ci offre una panoramica davvero realistica.
Sei consapevole che prima o poi potrebbe scavalcarti e condurre direttamente lui?
Sì, questa è una prospettiva alquanto realistica, l’abbiamo già messa in conto anche se io a fare l’inviato davanti Palazzo Chigi non mi ci immagino…
Filtrare tutto attraverso l’occhio della satira può aiutare a guardare meno drammaticamente la politica, in una delle fasi in cui continua purtroppo a mostrare il peggio di sé?
Certo, può essere un modo, ma attenzione: funziona soltanto se svolto bene. Oltre alla chiave satirica attraverso la quale leggiamo l’attualità, ci poniamo comunque l’ambizione di fare informazione come gli altri. Il nostro intento è quello di renderci originali, di differenziarci, e posso dire che in questi anni siamo diventati sempre più credibili.
E a dimostrarlo sono i tuoi tanti reportage presentati nel corso dell’ultima stagione di Gazebo. Da Lampedusa a Rosarno, passando per gli operai di Terni…
Sono esperienze forti. Si tratta di contesti in cui non puoi sbagliare, hai la responsabilità di doverle raccontare al meglio. Il punto di vista rimane sempre un po’ “parziale”, per forza di cose, ma devi riuscire a mantenere una certa onestà di fondo. Dopo aver vissuto certe esperienze, senti il privilegio di saperne qualcosa in più rispetto alle tante persone che ne parlano soltanto. Mi accorgo di ciò quando, in vari talk show e dibattiti, sento dire molte cose assolutamente senza alcun senso da parte di gente assolutamente disinformata sui temi di cui parla. Basterebbe trascorrere un giorno, ad esempio a Lampedusa, per capire quella realtà. Magari rimani della stessa opinione, ma ti rendi conto che la realtà è forse un po’ più complessa rispetto a come viene mostrata e “propagandata”.
Spostiamoci sulla politica. In questi anni, ti sei dedicato molto ad indagare i sentimenti della base del Pd, sin dalla sua nascita. Oggi il partito si trova in una fase molto delicata, la cosiddetta minoranza dem è alle strette, anche alcuni compagni storici (come Staino, ad esempio) sembrano aver abbracciato il renzismo. Cosa si percepisce tra i militanti? Ha prevalso un senso di resa anche tra quelli che un tempo erano i militanti più irriducibili?
In realtà, negli ultimi tempi ho frequentato sempre meno i circoli rispetto a quanto facevo un tempo. Certamente il renzismo esiste, è militante, agguerrito, molto ambizioso. Hai citato Staino. Ecco, ti posso dire che capisco il suo punto di vista. Da nostalgico, lui applica un vero centralismo democratico, anche se lo fa in una realtà completamente diversa da quella in cui il centralismo democratico – giusto o sbagliato che fosse – veniva applicato. Il fatto, però, è che c’è anche una sinistra interna intenzionata a farsi valere e a legittimarsi in quanto sinistra, e questa mi sembra la base della dialettica all’interno del partito. Inutile entrare nel merito delle vicende interne. Ora sarà interessante vedere come si posizioneranno sulle vicende greche dopo le elezioni di settembre. Vedremo se ci saranno nuovi carri dei vincitori, e chi vi salirà.
Parlando di Pd, non possiamo non affrontare il tema di Mafia Capitale. Roma è la tua città, un tempo fiore all’occhiello della sinistra, se pensiamo all’epoca delle giunte rosse, di Argan, di Renato Nicolini. Oggi è una città dove hanno spadroneggiato i Buzzi, i Carminati, i Casamonica…
C’è molta tristezza in tutto questo, è evidente. Speriamo di uscire al più presto da questo stallo, ma il punto è capire come. E soprattutto chi è in grado di farlo. Ignazio Marino vinse le primarie del Pd in qualità di candidato anti-casta. Era il più “grillino” del Pd, e vinse contro le cosiddette “bande” presenti all’interno del partito. E a dirlo è stato lo stesso Orfini, commissario del Pd romano. Più di qualcuno è rimasto deluso da Marino, ma se ti guardi intorno e pensi a certi personaggi che vorrebbero prendere il suo posto, allora ti viene l’immediato istinto di proteggerlo. Quanto al funerale dei Casamonica, che dire? È stato proprio un bel momento…
Di fronte a una situazione di tale complessità, come reagirebbe il tuo alter ego, quel militante Pd sempre critico e disilluso con il quale sei diventato noto al grande pubblico?
Sarebbe molto confuso. Da una parte smanierebbe per tornare alle urne, dall’altra spererebbe che non si voti mai perché non saprebbe per chi votare. Oggi si troverebbe nello smarrimento totale, che è l’antitesi della militanza. Sono cresciuto in mezzo alla politica, e da ragazzino votare era uno di quei vantaggi che invidiavo ai maggiorenni. Adesso è il contrario: ho paura delle urne perché non saprei proprio a chi dare il voto.