I timori occidentali nei confronti della recente crisi cinese sono molti, tuttavia è importante comprendere la vera natura del crollo del mercato azionario. La People’s Bank of China si è mossa con rapidità, adottando manovre di politica monetaria atte a risollevare l’economia, ma le conseguenze interne ed esterne che ne derivano potrebbero rivelarsi problematiche.
Ritorno alla normalità o inizio di una crisi profonda?
Analizzando l’andamento dei principali indici di trading on line azionari da un anno a questa parte, a partire dal mese di marzo si nota una crescita anomala. Sebbene questo fosse un chiaro segnale d’allarme, milioni di risparmiatori incentivati da investimenti potenzialmente interessanti – più redditizi se paragonati agli interessi sui depositi bancari – hanno continuato ad alimentare una bolla che, prima o poi, sarebbe scoppiata. Secondo alcuni commentatori, il recente crollo avrebbe semplicemente riportato gli indici ai livelli normali, ipotesi giustificabile anche dal fatto che, nonostante tutto, i valori attuali rispecchiano ancora un ipotetico trend di crescita di lungo periodo. Secondo altri, invece, si tratterebbe dell’inizio di una crisi globale.
Chi ha perso di più da questo crollo?
Lo shock ha colpito più duramente i piccoli investitori, mentre le conseguenze sulle imprese e sulla capacità produttiva sono state più moderate. Il crollo dei mercati finanziari ha eroso i risparmi degli individui e di conseguenza i loro redditi. Inoltre, il discorso diventa più delicato se consideriamo che la Cina è un paese con un tasso di risparmio molto elevato, tipico di nazioni in via di sviluppo con welfare ancora inadeguato rispetto ad un’economia che ha assunto dimensioni macroscopiche. Stimolare i consumi a scapito del tasso di risparmio è stato uno degli obiettivi principali dell’ultimo piano quinquennale del governo cinese, ma la recente crisi rema contro questa direzione. Infatti, la scomparsa di un cuscinetto economico per molte famiglie cinesi tende a generare un maggior tasso di risparmio, inducendo ad accantonare il denaro necessario a coprire eventuali spese sanitarie o per l’istruzione.
Conseguenze sulle economie estere
La riduzione dei consumi, combinata a politiche di svalutazione, provocherebbe effetti negativi soprattutto per le imprese estere. I maggiori partner commerciali della Cina – come Corea del Sud, Taiwan e Giappone tra i vicini di casa, ma anche Australia, Stati Uniti e Germania – subirebbero maggiormente le conseguenze di un’eventuale recessione cinese, fenomeno che sarebbe amplificato dalla recente svalutazione dello yuan messa in atto dalla People’s Bank of China. La banca centrale ha cercato di rassicurare il contesto internazionale affermando che non si tratta di un’inversione di tendenza che riporterebbe nuovamente ad un’economia basata su esportazioni agevolate da una moneta debole, bensì di una svalutazione momentanea con lo scopo di dare ossigeno all’economia reale, attenuando la crisi.
La preoccupazione che si tratti però di una “svalutazione strategica”, collegata quindi a nuovi futuri deprezzamenti dello yuan, e le misure del governo – al momento inefficaci – di fronte al crollo del mercato azionario allarmano gli investitori esteri, portando ad un deflusso di capitali dalla Cina. Tuttavia, a prescindere dagli effetti della svalutazione, in questo momento un’iniezione di liquidità nei mercati potrebbe effettivamente limitare i danni e mantenere standard di crescita accettabili, confermando così l’andamento positivo del PIL nel secondo trimestre di quest’anno. Tutte le economie che importano beni e servizi dalla Cina potrebbero tirare un sospiro di sollievo – o preoccuparsi seriamente – a seconda dell’evoluzione della vicenda e un passo importante sarà la stesura del tredicesimo piano quinquennale, con relative direttive economiche, che avverrà il prossimo anno.
Verso una nuova bolla immobiliare?
Martedì 25 agosto la banca centrale cinese ha annunciato di aver ridotto il tasso di interesse dello 0,25% (quinto taglio in 12 mesi) e il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche dello 0,5%. Anche questa mossa permette di dare respiro all’economia riducendo il costo del denaro per le banche e dando la possibilità di concedere maggior credito. Il timore più grande che hanno i Paesi esteri è che il mercato creditizio cinese si deteriori e che possa espandersi la bolla immobiliare che da diversi anni il governo si sta impegnando a contenere. Un grande afflusso di liquidità potrebbe infatti pompare ancora di più il settore edilizio, già oggetto di sovrainvestimento nell’ultimo decennio. Se la bolla immobiliare dovesse scoppiare, le conseguenze sarebbero notevoli e si prospetterebbe una crisi globale simile a quella del 2008. Il governo può solo sperare che il credito sia in grado di trovare destinazioni differenti rispetto al mattone, rimettendo in moto a pieno regime i mercati finanziari e la capacità produttiva.
La Cina in questo momento ha bisogno di fiducia: nonostante gli spettri di deflazione, bolle ed eccesso di capacità produttiva aleggino da molto tempo, il colosso asiatico ha sempre avuto una gestione ottimale della sua economia in grande crescita, pur con notevoli problematiche di ordine sociale. Il massiccio interventismo statale è da sempre oggetto di critica da parte dell’Occidente, ma è innegabile che uno Stato forte possa aiutare, come ora sta accadendo, ad assumere decisioni repentine e talvolta radicali, soprattutto nei momenti di crisi, quando il tempo si rivela un fattore decisivo.
Gianluca Parodi*
*autore della tesi di laurea “Il passaggio della Cina da un’economia trainata dall’export alla centralità dei consumi”