Completato il Jobs Act con i decreti attuativi, sta funzionando?
Completato il Jobs Act con i decreti attuativi, sta funzionando?
A sei mesi dall’entrata in vigore del Jobs Act sono finalmente stati approvati i decreti attuativi che chiariscono la sua applicazione in alcuni campi fondamentali.
La maggior parte di questi decreti riguardano aspetti che non hanno sollevato particolari polemiche:
– l’allungamento da 3 a 6 anni e da 8 a 12 anni del congedo parentale facoltativo sia rispettivamente quello retribuito al 30% che quello non pagato, posta la durata sempre di 6 mesi
– L’integrazione in un unica agenzia di ispettorato del lavoro dei servizi ispettivi di ministero del Lavoro, Inps e Inail
– La costituzione dell’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro,che dovrebbe finalmente gestire il ricollocamento e la formazione dei disoccupati
– Lo stop definitivo ai co.co.pro
– La possibilità di demansionamento del lavoratore in caso di riorganizzazione, con anche una diminuzione del trattamento economico accessorio, quindi di fatto una decurtazione dello stipendio
– La CIG viene ridotta a 2 anni (3 anni solo in presenza di contratti di solidarietà), cosa che ha scatenato le ire della CGIL, ma viene estesa anche alle aziende con più di 5 dipendenti, con l’introduzione di alcuni contributi addizionali
– Il sussidio di disoccupazione, NASPI, viene esteso a un massimo di 24 mesi stabilmente, e viene anche previsto, oltre questo termine un aiuto ulteriore per le situazioni estremo di bisogno economico.
Tuttavia il decreto attuativo più atteso era quello sui contestatissimi controlli a distanza, dopo un momento in cui pareva che il governo avrebbe recepito il parere contrario della commissione lavoro, parere solo consultivo, vi è invece stato un ritorno alle origini con l’approvazione della formulazione originaria, che prevede la possibilità per l’azienda di fare controlli sul lavoro del dipendente con senza autorizzazione sindacale, ma informando i dipendenti stessi dei contorni del controllo, e rispettando la privacy del lavoratore per tutti i campi non riguardanti il lavoro stesso.
In sostanza il datore di lavoro potrà monitorare l’uso che il dipendente fa degli strumenti affidati (cellulare, tablet, laptop, pc), secondo regole che devono essere note al lavoratore, ma non necessariamente con il consenso sindacale, e potrà sanzionare per un uso improprio ma non potendo indagare la informazioni private del dipendente.
I timori sorti da queste disposizioni sono legate al fatto che ora sono possibili i licenziamenti senza reintegro anche in caso di illegittimità, ma solo una indennità, come si sa, e quindi vi è paura di abusi da parte del datore di lavoro in caso di scoperta del dipendente a navigare su Facebook o a chattare.
Proprio questo è un altro tema che ha generato molte polemiche al tempo del varo del Jobs Act, e ancora ne genera, ovvero l’abolizione dell’articolo 18.
Renzi sa benissimo che non bastano i miglioramenti dal lato delle maggiori tutele (abolizione dei contratti a progetto, estensione della NASPI, estensione della CIG) e questo malumore sarà fugato solo se il Jobs Act avrà creato effettivamente nuovo lavoro
Jobs Act, + 185 mila posti in un anno, ma tutti ai lavoratori anziani
Gli occhi di tutti sono puntati infatti sulla ripresa, o meglio sulla possibilità di una ripresa soprattutto dell’occupazione, e il governo non a caso ha reso mensili i report del ministero del lavoro e dell’INPS sulle attivazioni di posti di lavoro, con relativo sfoggio di risultati positivi dalle comunicazioni amministrative che parlavano di più posti di lavoro soprattutto a tempo indeterminato, contestati dall’ISTAT, che rilevava la diversità di metodo usato e che confermava la maggiore affidabilità dell’Istituto di Statistica che conta le teste e non i contratti e utilizza metodi di calcolo europei.
Guardando quindi i dati ISTAT vediamo che finalmente vi è in effetti un aumento dell’occupazione sia a tempo determinato che permanente, e sia per i contratti part time che quelli fissi
Appare come il risultato di una ripresa partita con la diminuzione della perdita di posti di lavoro dalla primavera del 2013, sfociata poi in una crescita netta dal 2014. E’ ancora presto per attribuire un effetto positivo al Jobs Act, solo l’andamento futuro potrà dircelo, per esempio valutando se vi sono o meno accelerazioni.
Possiamo però osservare più approfonditamente alcune dinamiche, per esempio quelle dei giovani rispetto alla massa totale dei lavoratori.
Vediamo come l’occupazione nel complesso sia aumentata in modo piuttosto omogeneo per sesso, e tranne che per gli uomini del centro anche per area geografica
Non però per età, non vi è alcun progresso, ma solo un calo per l’occupazione dei 15-24enni. In particolare al Centro Nord
E’ lo stesso report dell’ISTAT che ci dice che tra i 15-34enni e i 35-49enni vi è stato un calo rispettivamente del 2,2% e dell’1,1% dell’occupazione.
E questi dati che mettono a confronto l’Italia con la Spagna, di cui abbiamo già parlato, confermano la questione:
E’ l’occupazione dei più anziani che sta aumentando, di ben il 5,8% in un anno, grazie alla maggiore permanenza al lavoro dei lavoratori ultra 50enni, dopo le riforme delle pensioni.
D’altronde, sta diminuendo l’inattività per la stessa ragione, un numero inferiore di pensionati
Non diminuisce tra i giovani, infatti, anzi, aumentano coloro che non lavorano e non cercano lavoro, e sapendo che nello stesso tempo non aumenta il numero degli studenti, è evidente come queste persone rientrino nei NEET, (Not in Employment Education Training)
Il compito del Jobs Act quindi sarà quello di attivare una ripresa occupazionale vera, che ora più che sulla riforma del lavoro si basa quasi completamente sulla legge Fornero e sulla minore uscita dal mondo del lavoro degli ultra-50enni.