Nei giorni in cui a tenere banco è la discussione sulla riforma costituzionale in votazione al Senato, sono diversi i provvedimenti su cui il Parlamento è chiamato a discutere nelle prossime settimane.
Tra questi spicca l’approvazione del cosiddetto “ius soli soft”, la proposta di legge licenziata dalla Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio prima della pausa estiva che dovrebbe permettere ai figli degli immigrati nati nel nostro Paese, le cosiddette seconde generazioni, di ottenere a specifiche condizioni la cittadinanza italiana. Vediamo quali.
Il testo unificato presentato a fine luglio in Commissione dalla relatrice del Partito Democratico Marilena Fabbri, punta a cambiare le regole attuali secondo le quali, per ottenere la cittadinanza italiana, i figli degli immigrati, oltre ad essere nati nel Belpaese, devono vivere sul nostro territorio ininterrottamente per almeno diciotto anni.
La proposta della relatrice PD è il frutto di un lavoro iniziato sotto il governo Letta e rappresenta la sintesi di 29 progetti di legge che, da inizio legislatura, sono stati depositati in Parlamento.
Secondo il testo base, che combina lo “ius soli temperato” allo “ius culturae”, per chi nasce in Italia la cittadinanza verrebbe acquisita qualora almeno uno dei due genitori “sia residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita” o se uno dei due genitori, anche se straniero, “sia nato in Italia e ivi risieda legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno”. In tal caso, la cittadinanza verrebbe assegnata al momento dell’iscrizione all’anagrafe.
Per quanto riguarda, invece, i minori nati in Italia che non abbiano questi requisiti e coloro che arrivano nel nostro Paese e hanno meno di 12 anni, possono ottenere la cittadinanza se hanno “frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”.
Invece, i ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato “un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo”.
Il testo, votato da PD, Sel, Per l’Italia-Centro democratico, Scelta civica e Area popolare, dovrebbe riprendere il proprio iter a Montecitorio nelle prossime settimane ed essere approvato entro l’anno, come promesso dal premier Renzi.
Sulle barricate la Lega Nord, che promette “un Vietnam parlamentare”, e Forza Italia, che ha visto dimettersi la seconda relatrice del testo, la deputata Annagrazia Calabria, “per divergenze sul testo elaborato, frutto dell’arroccamento ideologico del PD. Forza Italia è convinta che la cittadinanza non è uno strumento di integrazione”.
Termometro Politico ha intervistato la relatrice del provvedimento, la deputata PD Marilena Fabbri, per fare il punto sull’approvazione di una legge attesa da anni.
Onorevole Fabbri, pensa che il provvedimento approderà presto in Aula o c’è il rischio che possa slittare al prossimo anno?
Abbiamo già fissato per il 14 settembre la scadenza per il deposito degli emendamenti, poi vi sarà la valutazione della loro ammissibilità e la discussione all’interno della Commissione. Il provvedimento è calendarizzato tra i lavori prioritari della Commissione Affari Costituzionali. Riguardo al suo approdo in Aula, dobbiamo aspettare che la capigruppo definisca il calendario dei lavori da qui a fine anno, tenuto conto che la finanziaria blocca tutti i provvedimenti onerosi.
La legge sulla cittadinanza è un provvedimento che comporta un onere per le casse dello Stato?
Oggi la legge prevede che si paghino 200 euro per fare la domanda di concessione della cittadinanza. Nella mia proposta di legge, invece, chiedo che i minori siano esonerati dal pagamento di questo contributo.
Teme che all’interno della maggioranza possa esserci una spaccatura e che possano mancare i voti?
Ogni volta che si parla di diritti si parla di un tema sensibile, ognuno ha sensibilità politiche diverse, ma tutti i partiti che sostengono la maggioranza di governo hanno approvato il testo base in Commissione. Questo non vuol dire che lo condividano al cento per cento, infatti hanno già annunciato che verranno proposti degli emendamenti, che vorranno modificare alcune parti, ma non credo che siamo nella condizione in cui alcune forze politiche di maggioranza facciano mancare il voto. Vedremo come andrà la discussione, che tipo di emendamenti verranno presentati, se le proposte sono di specificazione o di miglioramento del testo o se sono di stralcio di alcune parti.
Sono state apportate delle modifiche al testo originario?
Il testo è già stato cambiato ampiamente, c’è stata una riduzione del perimetro di intervento, infatti non interveniamo sul miglioramento della legge che riguarda gli adulti.
Riguardo allo scontro con Forza Italia, come sono i rapporti con il partito dell’ex Premier dopo le dimissioni della seconda relatrice del testo “per divergenze ideologiche”?
Io e Mariagrazia Calabria non eravamo completamente distanti. Sono convinta che in Commissione ci sarà un dibattito impegnativo ma questo è un tema, come quello dell’immigrazione, che deve essere trattato in modo pragmatico e non ideologico. Questo tema fa parte anche degli strumenti di politica economica. Se guardiamo all’immigrazione, al di là dell’accoglienza e delle valutazioni di carattere umanitario, ci sono alcuni Paesi che stanno facendo un discorso più prettamente economico. Se lo “ius sanguinis” è legato a Paesi con una forte emigrazione, lo “ius soli temperato” e lo “ius culturae” penso sia tipico di realtà caratterizzate da una forte immigrazione, in cui bisogna riconoscere chi viene a vivere sul territorio e lavora, produce ricchezza e si sente legato a quel Paese. Sono ottimista e penso che si possa trovare un punto di accordo sull’approvazione della legge.
Francesco Ferraro