Germania: la guida di un’Europa in trasformazione
Se un docente universitario di Storia delle Relazioni Internazionali decidesse di dedicare interamente il programma del proprio corso allo studio della storia politica Europea, i suoi fortunati studenti scoprirebbero che il maggiore e probabilmente l’ unico timore che ha sistematicamente accompagnato, nel corso dei secoli, la maggior parte degli statisti Europei è costituito dalla concretizzazione di una Germania unita e di conseguenza politicamente egemone.
Germania: un ruolo centrale ed equilibratore
Tuttavia, come cantava Bob Dylan, “the times they are a-changin”. Oggi l’idea di una Germania unita ed egemone non solo rappresenta una realtà storica, ma ne costituisce un necessario presupposto per il cammino politico e storico dell’Unione Europea. Con una decisione, quanto umanitaria quanto unilaterale, la Germania ha deciso che “all’ospitalità tedesca per gli Asylanten non c’è limite alcuno”.
Come scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, “La Merkel non è una reincarnazione tedesca del dottor Jekyll e una Mister Hyde”, ma “un attento e intelligente capo politico che ha una forte consapevolezza di sé e del proprio ruolo, insieme però a una lunga memoria della propria storia”. Non è un mistero che l’Unione Europea rischia di smembrarsi proprio a causa del dossier immigrazione e la Germania che di questa unione ne è la guida indiscussa ha deciso di assumere quel ruolo centrale ed equilibratore che la storia le ha assegnato.
Germania: la sfida demografica per sostenere il welfare.
La Germania si caratterizza per avere il più basso tasso di natalità in Europa, di conseguenza “L’idea di utilizzare i migranti per contribuire a risolvere i problemi demografici della Germania è plausibile“ scrive Der Spiegel. Secondo l’economista Bryan Caplan abbattere le frontiere è “il modo efficiente, egalitario, libertario e utilitarista per raddoppiare il prodotto interno lordo del pianeta”. Della stessa tesi è Michael Clemens, del Center for global development, per il quale: “se gli immigrati forniranno forza lavoro, capitale e imprenditorialità per le nuove attività nel mercato globale, certo molti dei benefici saranno condivisi dai consumatori di tutto il mondo, ma almeno alcuni dei benefici saranno concentrati nell’area in cui queste nuove attività economiche si saranno stabilite”, cioè nei paesi sviluppati.
Tuttavia queste tesi si scontrano e sembrano non superare le prove delle sfide politiche, giuridiche e culturali proprie dell’Europa. In una lucidissima e corretta analisi, Carlo Lottieri spiega che nell’Europa odierna una massiccia immigrazione “verrebbe avvertita da molti come inopportuna e sgradevole: come un venir meno di valori, forme di vita, principi, tradizioni culturali”. Secondo Nathan Smith, economista della Fresno Pacific University alcuni ideali occidentali “si eclisserebbero perché la loro applicazione diventerebbe sempre più difficile, per esempio l’uguaglianza di opportunità per tutti, la rete di assistenza sociale, il principio ‘una testa-un voto’ o quello di non-discriminazione sul posto di lavoro”.
Questa ondata causerebbe “una transizione politica simile a quella che – sulla scorta dell’espansione territoriale e quindi demografica – trasformò la Repubblica romana in un Impero, o che portò all’Impero inglese del XVIII secolo” scrive Marco Valerio lo Prete sul Foglio .
Germania: adeguarsi al principio di realtà.
Tuttavia se si considera che nel 2000 la Divisione sulla popolazione delle Nazioni Unite ipotizzò che nel 2050, solo in Italia gli immigrati saranno circa 40 milioni, ben si intuisce che il cambiamento epocale che non solo modificherà il volto dell’Italia, ma anche dell’intera Europa, è prossimo. “C’è una battaglia là fuori. E sta infuriando. Presto scuoterà le vostre finestre. E farà tremare i vostri muri” recita profeticamente l’inno alla Gioia di Beethoven assunto come inno europeo. Detto in altre parole, la sfida che si pone agli statisti europei è quello si saper governare questa rivoluzione radicale che, come spiega lo storico tedesco Michael Wolffsohn in una intervista a firma di Danilo Taino, trasformerà “paesi relativamente omogenei a entità multinazionali”. Di conseguenza si tratta di “realizzare una transizione pacifica verso società eterogenee e multinazionali”.
Questo scenario evidenzia il fatto che un’Europa unita non è solamente auspicabile, ma addirittura necessaria, in considerazione che solo un’Europa unità può governare questo fenomeno storico ed essere in grado di rispondere alle sfide che esso sottopone. Anche grazie alle pressioni esercitate dall’Italia in Europa, dai più disattenti giudicate deboli, la Germania, consapevole del proprio ruolo nello scenario Europeo, abbandonando progressivamente l’ostpolitik che l’ha caratterizzata per anni, ha deciso di porsi alla guida di una nuova Europa.
Un’Europa che, contrariamente a quanto affermato dal premier ungherese, definito da Jean Claude Juncker, “Viktator”, identificando i profughi come il “Prossimo”, non solo non rinuncia alla propria identità, ma riafferma la propria vocazione cristiana.
Francesco Migliore