Premio alla coalizione? Perché non tornerà
Sono passati solo quattro mesi abbondanti dall’effettiva nascita dell’Italicum – si tratta infatti della legge 6 maggio 2015, n. 52 – e già c’è più di qualcuno che vorrebbe mandare in pensione il nuovo sistema elettorale con cui si dovrebbe votare per la sola Camera dei deputati da Luglio dell’anno prossimo. Non tutta la legge, in realtà: c’è chi si accontenterebbe di un “dettaglio”, cioè il ritorno al premio alla coalizione, mentre ora il pacchetto di seggi va a beneficio nella lista più votata.
Il fronte di coloro che chiedono il ritorno della possibilità di allearsi e del premio di coalizione sembra allargarsi sempre di più. A Forza Italia, è noto, il premio alla lista non è mai piaciuto, specie se combinato con l’introduzione del ballottaggio: i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani lo hanno ripetuto in tutte le salse. Nelle condizioni attuali, infatti, correndo da solo il partito fondato da Silvio Berlusconi arriverebbe (almeno) terzo e resterebbe fuori dal secondo turno; alleandosi con la Lega Nord potrebbe andare meglio, ma a quel punto sarebbe a rischio la leadership dello stesso Berlusconi o comunque di Fi, che dal 1994 ha sempre ricoperto il ruolo di capofila del centrodestra. Tutto questo non è mai stato detto chiaramente dai vertici del partito, ma i numeri parlano chiaro.
Forza Italia però è all’opposizione e sarebbe difficile immaginare un atteggiamento diverso. Il fatto è che, specie negli ultimi giorni, anche alcuni dei partiti di maggioranza hanno iniziato a chiedere con chiarezza la stessa modifica all’Italicum, sia pure con uno scopo almeno parzialmente diverso: quello di non sparire dalla scena, di non rischiare l’irrilevanza. Il segretario Udc Lorenzo Cesa vuole espressamente il ritorno alle coalizioni perché l’area cattolica continui a essere rappresentata, senza essere schiacciata tra due listoni. Ha chiesto lo stesso Gaetano Quagliariello, per il Nuovo centrodestra, in nome del rispetto dell’identità: gli elettori di Ncd non si sentirebbero a casa propria in un centrodestra a trazione salviniana o in un Pd che Renzi ha portato nel Partito socialista europeo.
A questo, poi, vanno aggiunti gli effetti della riforma del Senato: nessuno ne parla direttamente, ma di certo i vertici dei partiti ci pensano. Con la seconda camera non più eletta direttamente, solo la lista beneficiaria del premio di maggioranza manterrebbe un bel numero di eletti, non troppo lontano da quelli che avrebbe con entrambi i rami del Parlamento elettivi; sarebbe invece drasticamente ridotto il numero dei parlamentari degli altri partiti, specie di quelli che potrebbero beneficiare dei seggi dati in premio alla coalizione. Questione di peso e di rappresentanza, ovvio, ma anche di risorse a disposizione e di personale collocabile, aspetto non trascurabile di questi tempi.
Che succederà quindi? Non è scontato. Nella minoranza dem vari parlamentari sono favorevoli al premio di coalizione, ma su questo punto difficilmente Matteo Renzi vorrà tornare indietro. Il passaggio dal premio alla coalizione al premio alla lista l’aveva proposto lui, come parte essenziale della sua idea di legge elettorale (per cui la sera del voto si dev’essere certi su chi abbia vinto le elezioni). Lo stesso congegno sarebbe la migliore assicurazione di stabilità per la nuova maggioranza, cancellando i rischi legati a possibili ricatti e voltafaccia degli alleati di governo (resta il problema dell’affidabilità delle forze imbarcate nel “listone”, ma su quelle si può fare poco). Ad oggi l’Italicum garantisce al Pd, se non la vittoria al primo turno, almeno l’accesso al ballottaggio, correndo da solo o, al più, scegliendo alleati alle proprie condizioni; tornare al premio di coalizione metterebbe in discussione tutto ciò e ridarebbe molto fiato al centrodestra. Altro che “dettaglio” o “piccola modifica”…
Se però in Parlamento si dovesse arrivare alla conta sul premio di maggioranza, Renzi potrebbe trovare un alleato della maggiore forza di opposizione. Il più strenuo oppositore del premio alla coalizione, infatti, è il MoVimento 5 Stelle: non a caso, a luglio dell’anno scorso, l’accoppiata doppio turno – premio alla lista era stata suggerita da Danilo Toninelli, che dall’inizio del suo mandato ha seguito con attenzione la partita della legge elettorale. In quell’occasione disse: “Il Movimento è disposto ad accettare un doppio turno di lista, in modo che ci sia un vincitore ma non si porti dietro un’ammucchiata di partiti”. Capirlo è facile: se nel 2013 ci fosse stato il premio alla lista più votata, il M5S avrebbe vinto le elezioni, mentre il premio alla coalizione è andato al centrosinistra che si è subito sfaldato, con il passaggio all’opposizione di Sel (che, tra l’altro, ha così ottenuto alcuni ruoli di garanzia).
Se dunque la partita legata al nuovo Senato non è ancora chiusa (e molto dipenderà da quanto deciderà il presidente Grasso sugli emendamenti all’art. 2 del disegno di legge), riaprire quella della legge elettorale sul premio alla coalizione non sarà affatto una passeggiata. Renzi lo sa: i numeri, questa volta, sono nettamente dalla sua parte.