Riforma del Senato, Renzi confida nel sostegno trasversale
Nonostante alcuni retroscena dipingano un possibile scenario infausto per il governo nelle prossime settimane, le cronache parlano di un Matteo Renzi piuttosto tranquillo. La crescente riluttanza manifestata trasversalmente nei confronti della riforma costituzionale (in particolar modo sulla questione del Senato elettivo) non sembra turbare l’umore del presidente del Consiglio, che – reduce dal discusso viaggio a New York per assistere alla finale degli US Open – pensa ora a riorganizzare le truppe in attesa di affrontare il suo autunno caldo.
Non mancano le grane per Renzi in uno dei passaggi più rischiosi dall’inizio del suo mandato. Non è, infatti, solo dal “fuoco amico” della minoranza Pd che deve guardarsi le spalle. Il campanello d’allarme arriva anche dagli alleati del Nuovo Centrodestra, finora partner di governo dimostratosi sufficientemente compatto e affidabile nelle principali decisioni. Nel partito di Alfano, però, i malumori crescono ogni giorno, tanto che al momento si contano una decina (forse anche qualcosa in più) di senatori pronti a votare contro (o comunque ad astenersi, che nel regolamento di Palazzo Madama equivale di fatto a voto contrario) il Senato delle regioni. Al loro fianco, troverebbero i grillini, Forza Italia, la Lega, Gal e il gruppo misto (di cui fanno parte, tra gli altri, SEL e il neonato minigruppo dell’Altra Europa per Tsipras). Ma non solo. Anche gran parte della minoranza dem (25/30 senatori) si è dichiarata contraria all’abolizione del Senato elettivo, e sembra stavolta intenzionata a fare sul serio.
Allo stato attuale, dunque, Renzi non ha i numeri per approvare la riforma del Senato. E siccome l’ex sindaco di Firenze su questo tema si gioca tutto, la mancata maggioranza potrebbe coincidere anche con l’epilogo di questo governo. Come già detto, però, le indiscrezioni ci raccontano di un Renzi sereno, per usare un aggettivo a lui caro. Pare che confidi molto in un “soccorso azzurro” da parte di Forza Italia, già interlocutore privilegiato nella prima fase dell’avventura di Renzi a Palazzo Chigi. I forzisti – sondaggi alla mano – non sembrerebbero affatto tentati da un imminente ritorno alle urne, che potrebbe dimezzare la rappresentanza parlamentare del partito di Berlusconi, al momento nel pieno di una riorganizzazione dei vertici.
La stessa logica “utilitaristica” sembra animare anima i dissidenti del Nuovo Centrodestra, anche se in direzione inversa. Il partito di Alfano risulta ad oggi incredibilmente sovradimensionato rispetto all’effettivo consenso di cui gode tra gli elettori (l’ultima rilevazione di Demos & Pi attesta Ncd+Udc appena al 2,7%). Ne sono ben consapevoli i senatori del partito, molti dei quali rimarrebbero fuori da Palazzo Madama al prossimo giro. Da qui nascerebbe la ferma volontà di bloccare la riforma, anche a costo di uno strappo interno, che potrebbe rivelarsi fatale per il soggetto politico guidato dal ministro degli Interni. Quest’ultimo, invece, tira dritto per la strada delle riforme, tessendo nel frattempo le trame per rafforzare ulteriormente l’alleanza con i democratici, sia per le amministrative 2016, sia in vista di eventuali elezioni anticipate. Con buona pace della base Pd.
Non possiamo certo negare, dunque, che le due aggregazioni partitiche nate dalle ceneri del Pdl non stiano fornendo una valida conferma empirica alla tesi secondo la quale il senso basilare della politica è la lotta per la conservazione del potere. E potrebbe essere proprio questa regola non scritta a salvare Renzi, al quale non sarà certo sfuggita la rilevazione IPSOS pubblicata sul Corriere della Sera di oggi, secondo la quale quasi tre italiani su quattro si dichiarano a favore dell’elezione diretta dei senatori, contrariamente alle intenzioni del governo. La sua abilità nel fiutare gli umori dell’opinione pubblica dovrebbe fare il resto: non stupirebbero, quindi, clamorose variazioni in corso d’opera nel giro di poche settimane.