La verità sull’occupazione, è in calo tra gli under 35, su solo tra gli over 50
La ripresa c’è, e media e politici non mancano di ricordarcelo, il PIL cresce dello 0,7% anno su anno, e si parla di un possibile dato finale dell’anno a +0,9%, due decimi più delle previsioni, decimali che servirebbero anche a permettere una maggiore libertà manovra al governo nella spasmodica ricerca di risorse per finanziare spese o riduzioni di imposta, come l’abolizione della TASI.
Abbiamo visto che anche i consumi sono in ripresa, ma naturalmente gli occhi di tutti sono rivolti all’occupazione. Dopo i primi dati riferiti a luglio che ci dicono che vi è stato un aumento di 235 mila occupati rispetto a un anno prima, e di 103 mila solo nel secondo trimestre 2015 rispetto al primo, vediamo più in profondità cosa accade, chi sono questi occupati in più.
Occupazione in aumento anche a tempo indeterminato
Il riferimento è al secondo trimestre 2015 appunto, che con 3 mesi è un punto di osservazione più affidabile.
La novità di quest’ultimo trimestre è che l’aumento degli occupati (+0,8%) include sia l’aumento del numero di dipendenti permanenti che quello di dipendenti a termine. Diminuisce dello 0,1% il numero di lavoratori indipendenti (le partite IVA di fatto).
Qui vediamo le variazioni trimestre su trimestre, l’incremento di occupati pare essere il maggiore dal 2010:
E’ certamente un segnale molto positivo, in particolare era accaduto solo nel terzo trimestre 2011 e nel primo del 2015 che gli occupati permanenti aumentassero in modo significativo.
Il dato è particolarmente confortante se osserviamo la diminuzione dell’incidenza della cassa integrazione. Come sappiamo normalmente i cassintegrati sono considerato occupati, per cui il numero reale di lavoratori è minore di quello ufficiale, ma se diminuisce questo valore rappresentato da coloro che sono in cassa integrazione, il numero reale sarà di fatto più alto.
Vi è un primo dato però che forse un po’ meraviglia, quello sulla disoccupazione, che non cala, pur aumentando l’occupazione, rimane infatti al 12,4%, solo lo 0,1% in meno rispetto a un anno fa, e di fatto lo stesso numero di persone sono senza lavoro pur cercandolo.
Da dove origina questo fenomeno? Dalla diminuzione degli inattivi, ovvero coloro che non lavorano e non cercano un’occupazione: il loro tasso cala dello 0,6%, e il loro numero del 1,9%.
Meno donne che rimangono a fare le casalinghe? Meno NEET, ovvero giovani che non studiano e non lavorano? Meno lavoro nero e quindi più persone che vengono assunti e cominciano a lavorare o perlomeno a cercare un lavoro pur risultando disoccupati?
Non è proprio così
+2,1% il tasso di occupazione tra gli over 50
Un primo sospetto che i numeri potrebbero nascondere una realtà meno rosea di quel che appare viene da un primo sguardo alla tabella del tasso di inattività divisa per aree geografiche e soprattutto età:
Il maggior calo del tasso di inattività proviene dal Sud, e questo non dovrebbe stupire essendo lì ancora altissimo, con quasi il 60% delle donne che non studia, non lavora e non cerca lavora, un record europeo.
Se guardiamo però le differenze per età vediamo che la proporzione di inattivi diminuisce in modo significativo tra gli over 50, in particolare gli uomini, mentre addirittura aumenta tra i 15-34 enni, in particolare tra i 15-24enni, e visto che le iscrizioni all’università sono in diminuzione, si tratta di un maggior numero di giovani che non studia e non lavora.
Al contrario è evidente che le riforme delle pensioni stanno facendo effetto: aumenta il numero dei 50enni al lavoro, sono più i lavoratori che compiono 50 anni di quelli che decidono di andare in pensione.
Questo ci fa capire meglio quindi i dati sul tasso di occupazione per età, che sono il punto centrale della questione lavorativa:
Quello che emerge è piuttosto sconfortante: il maggior tasso di occupazione che festeggiamo è in realtà frutto della maggiore permanenza al lavoro rispetto a un tempo dei più anziani.
Solo 0,3% l’aumento del tasso di occupazione tra i 35-49 anni, e un deludente -0,5% per quello dei 15-34enni.
Di fatto ci sono meno giovani al lavoro di un anno fa, questo è il punto, in particolare donne sotto i 24 anni, il segmento in cui eravamo già molto deboli.
Se osserviamo poi il numero di lavoratori in valore assoluto vi è un calo anche dei 35-49enni, che aumentano come proporzione solo perchè la popolazione totale su cui sono calcolati diminuisce:
Come vediamo ormai da 4 anni solo il numero di lavoratori ultra 50enni aumenta, mentre quello dei più giovani diminuisce, anche se a varia velocità. Ed è proprio il minor numero di licenziamenti tra i lavoratori più giovani rispetto al numero di anziani che rimangono al lavoro che produce un aumento netto degli occupati. Tuttavia purtroppo non vi è un aumento netto di assunzioni tra i più giovani come spereremmo, e come dovrebbe avvenire per dichiarare chiusa la crisi.
Anzi, vediamo che la diminuzione di occupati e il contemporaneo leggero aumento di attivi provoca il più grande aumento di disoccupazione proprio in un segmento di età fondamentale, quello dei 25-34enni, +1,1%.
L’aumento dell’occupazione tra gli over 50 non è certo una prerogativa italiana, ma anzi un fenomeno che abbiamo già visto esistere anche in Germania, dove in 10 anni il loro tasso di occupazione (in questo caso dei 55-64enni) è salito dal 40% al 65,2%:
Tuttavia a questo non era corrisposto come in Italia una perdita di lavoro dei più giovani. L’Italia invece era fino a pochissimo tempo fa l’unico Paese ad avere contemporaneamente il record di aumento di occupazione per gli anziani e di perdita di occupazione per i giovani.
Cosa sta avvenendo realmente in Italia dunque? Una serie di trend concorrono a disegnare la situazione attuale:
– La riforma Fornero assieme alle precedenti accentua la tendenza internazionale all’aumento degli occupati over 50, che non ricorrono più al prepensionamento come un tempo. Di fatto l’occupazione aumenta non per nuove assunzioni a questa età, ma perchè sono più i lavoratori che entrano nel segmento di età 50-64 anni, di quanti lo lasciano per pensionarsi
– Il numero dei licenziamenti o di mancata conferma del contratto, di solito di lavoratori più giovani senza tempo indeterminato è diminuito al punto da risultare minore dell’aumento dell’occupazione dei più anziani
– Gli assunti tra i più giovani, in realtà tra i minori di 50 anni, rimangono tuttavia minori di coloro che perdono il lavoro, l’occupazione quindi continua a calare, anche se a un ritmo inferiore.
– Le dinamiche più rilevanti, in un senso o in un altro, per intenderci quando la variazione supera l’1%, sono praticamente solo tra i lavoratori più anziani, con una diminuzione degli inattivi o un aumento degli attivi, per gli altri segmenti siamo ancora agli “zero virgola”, spesso in negativo.
Quindi il Jobs Act ha avuto finora un effetto non ancora rilevabile dai lavoratori, se non con la trasformazione di molti contratti a tempo determinato in tempo indeterminato, ma non con un effettivo aumento dei lavoratori.
Si tratta di dinamiche di lungo periodo, naturalmente, e solo nel 2016 sarà possibile osservare se invece un effetto è lì da venire o meno