Riforma del Senato: non si parla d’altro, ma non sempre a ragion veduta. Ecco allora che Michele Ainis, celebre costituzionalista, dalle colonne del Corriere della Sera, ha svelato le sette bugie più ricorrenti sul tema caldo di questa stagione politica. Il Professore ha infatti messo in evidenza come le argomentazioni a sostegno delle varie posizioni in campo non sono fondate ed, anzi, spesso rasentano la bufala.
La discussione politica sta assumendo contorni preoccupanti, con scontri istituzionali neppure troppo velati tra il premier Renzi ed il presidente del Senato Grasso. La ministra “titolare” della Riforma, Maria Elena Boschi ha minacciato l’ipotesi di cancellazione della “Camera Alta” nel caso in cui le minoranze, inclusa quella interna al PD, partito di governo, insistessero sul punto dell’elettività dei senatori.
In questa clima rovente, Ainis ha ritenuto necessario fare un po’ di chiarezza, sgombrando il campo da almeno sette imprecisioni, bugie, mezze verità che potrebbero rendere poco chiaro e trasparente un così importante processo di riforma della Carta Costituzionale. Ecco l’elenco di Ainis:
- Revisioni costituzionali
Prima bugia, sostenuta a spada tratta dal governo: da decenni si tentano riforme costituzionali senza riuscire mai a portarne a termine alcuna. Non è vero! Dal 1989 le leggi di revisione costituzionale approvate sono state ben 13 e gli articoli emendati in tutto o in parte sono stati 30, oltre a 5 disposizioni completamente abrogate. Il tema non è dunque riuscire a procedere con le revisioni, ma intervenire in maniera efficace affinché il sistema ricominci realmente a funzionare
- Il ruolo delle Camere
Seconda bugia, in questo caso spacciata per verità dalle minoranze: la riforma costituzionale è materia parlamentare, dunque l’iniziativa governativa in questo campo non sarebbe né possibile né opportuna. Questo può essere un principio condivisibile o meno, ma di sicuro la storia delle precedenti revisioni costituzionali insegna che nessuno è rimasto fedele a questo assunto. Già nel 1988, De Mita aveva presentato il suo come un «governo costituente». In tempi più recenti, nel 2001, la riforma del Titolo V venne promossa dal governo Amato, mentre nel 2005 la riforma federalista, la c.d. “Devolution”, è stata scritta dal ministro Bossi. Nel 2012, infine, l’obbligo del pareggio di bilancio fu introdotto dal governo Monti.
- L’iter legislativo
Altro argomento a sostegno delle tesi pro-Riforma riguarda la necessità di superare la doppia lettura dello stesso testo normativo da parte delle due Camere per portare ad approvazione un provvedimento. Accelerare l’iter legislativo appare impossibile in un sistema di bicameralismo perfetto come il nostro. Anche questa tesi cozza, secondo Ainis, con la realtà che emerge dai dati. Il tempo medio d’approvazione dei disegni di legge governativi, ad esempio, era 271 giorni nella XIII legislatura (1999-2001); in questa legislatura è sceso a 109 giorni. L’accelerazione dunque è di fatto avvenuta a norme costituzionali invariate. Ainis mette inoltre l’accento sul fatto che nel quinquennio 2008-2013 il Parlamento ha licenziato ben 391 leggi. La questione, dunque, non è fare più leggi, al contrario, produrne meno ma aumentando al contempo la loro “qualità”.
- L’elezione diretta dei senatori
Ainis si sofferma poi sul tema più caro ai detrattori della Riforma, ovvero l’elettività dei senatori, che servirebbe ad assicurare un contrappeso all’ampiezza di funzioni attribuite dal d.d.l. Boschi alla Camera rispetto a quelle residuali del Senato. Tuttavia, l’elettiva del Senato risulta una tematica marginale laddove gli equilibri politici al suo interno fossero similari a quelli della Camera. Se invece il Senato eletto avesse una composizione politica molto diversa da quella della Camera potrebbe rivelarsi addirittura dannoso. Ainis sottolinea poi che l’elezione diretta dei senatori non è prevista in molti altri importanti Paesi europei, come Francia, Germania o Inghilterra. Anzi, in quest’ultima nazione ogni ipotesi di introduzione di voto diretto prospettata nel 2012 era stata respinta con forza dai suoi componenti, i Lord.
- Gli emendamenti
La maggioranza si è infiammata in queste ore contro Grasso, sostenendo che il Presidente del Senato, sulla base del Regolamento, non potrebbe riaprire il vaso di Pandora degli emendamenti sull’articolo 2 (relativo all’elettività dei senatori) perché questi sono stati già dichiarati in blocco inammissibili dalla Presidente della Commissione Affari Costituzionali Finocchiaro. Anche questo per Ainis sarebbe falso. In primis, perché esiste almeno un precedente del 2005 riguardante la riammissione in Aula da parte dell’allora Presidente Pera di quattro emendamenti giudicati inammissibili in Commissione. C’è inoltre da considerare che Grasso non vota in via diretta, ma potrebbe mettere questione ai voti dell’Aula: sarà dunque l’eventuale costituzione di una maggioranza o meno tra i senatori a decidere le sorti dell’articolo 2. Infine, se il governo, come preannunciato, punterà a degli aggiustamenti del testo la Riforma dovrà comunque tornare alla Camera.
- Senato a costo zero?
Neanche per sogno! Se è vero che con la Riforma Boschi i senatori-consiglieri regionali non riceveranno alcuna indennità, è comunque realistico supporre che la collettività dovrà continuare a sostenere una serie di costi legati, ad esempio, ai trasporti e alla logistica delle trasferte su Roma. Senza contare, poi, il costo del personale del Senato, che continuerà a lavorare. Nel 2014 ha ammontato a 145 milioni di euro. Insomma, il Senato a costo zero sarebbe possibile solo se venisse cancellato del tutto.
- Il voto anticipato
Altre bugia: il voto anticipato, ovvero la suprema minaccia della maggioranza di governo, leva insostituibile per convincere vari senatori a convergere sulla Riforma. Appare chiaro tuttavia che un ritorno alle urne immediato comporterebbe l’uso del sistema elettorale del c.d. “Consultellum”, un proporzionale puro che metterebbe nei guai, in primis, lo stesso Matteo Renzi, che dunque non ha reale interesse a perseguire la via del voto.
Silvia Barbieri