Crescita PIL: perchè Confindustria è più ottimista, ma ci sono nuvole all’orrizzonte
Crescita PIL: perchè Confindustria è più ottimista, ma ci sono nuvole all’orrizzonte
Abbiamo già visto in precedenti articoli come Confindustria sia dall’inizio dell’era renziana tra i più entusiasti del nuovo corso della politica e soprattutto tra coloro che costantemente ha riservato all’economia italiana le previsioni più ottimistiche.
Non è da meno neanche oggi.
Crescita PIL: +1% nel 2015, e +1,5% nel 2016
Il Centro Studi di Confindustria si accoda e anzi supera l’ottimismo del governo che ha migliorato le previsioni per la crescita del PIL del 2015, passando dal +0,7% al +0,9%.
Confindustria infatti prevede un +1% tondo ora, rispetto allo 0,8% precedente, e un +1,5% per il 2016, piuttosto in linea con il governo.
E’ infatti su quest’anno che il Centro Studi dell’associazione degli imprenditori si stacca da tutte le altre previsioni, fatte da OCSE, FMI, Banca d’Italia ecc, come vediamo:
Di fatto c’è uno scarto medio di circa 3 decimi tra le previsioni medie e quella di Confindustria, visto che per esempio la Commissione europea come Unicredit hanno stimato un +0,6%, senza finora cambiare idea.
Dal report del Centro Studi di viale dell’Astronomia però emerge che il maggiore ottimismo in realtà proviene più dai risultati migliori del primo semestre 2015 che da un’accelerazione della seconda pare dell’anno, come invece ritiene il governo.
In particolare Confindustria sottolinea che è stata la maggiore crescita del PIL nel secondo trimestre del 2015 rispetto a quanto preventivato ad avere aumentato la crescita acquisita per tutto l’anno
Non solo, Confindustria sottolinea come l’occupazione abbia segnato risultati più positivi del previsto, con circa 250 mila occupati in più in un anno, grazie al Jobs Act e alla decontribuzione per i nuovi assunti, due misure che gli industriali hanno sempre appoggiato in modo molto forte. Secondo il loro Centro Studi ben il 62% delle aziende ha cambiato le proprie decisioni riguardo le assunzioni, in particolare il 18% ha aumentato la manodopera e il 50% ha trasformato contratti a tempo determinato in quelli a tempo indeterminato. Fino a luglio sono cresciute infatti del 35% le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Abbiamo già visto come queste nuove assunzioni non siano riuscite superare i licenziamenti e le perdite di posti di lavoro, e che l’occupazione maggiore è riferibile solo agli ultra-50enni, tuttavia evidentemente in base alle precedenti stime la situazione sarebbe stata peggiore.
L’unico fattore esterno positivo ai fini di una maggiore crescita è invece stato l’ulteriore calo del prezzo del petrolio, che ora è a 50 dollari al barile circa, contro previsioni che lo volevano a circa 60 dollari a giugno
Crescita PIL: i pericoli dal rallentamento della Cina e dei Paesi emergenti
E’ tuttavia anche il prezzo del petrolio che ci porta alle altre considerazioni che Confindustria stessa fa nello stesso suo report, e che non appaiono molto positive.
Il prezzo del greggio per esempio deriva da un calo della domanda globale soprattutto nei Paesi emergenti, Cina in primis, la quale vive un rallentamento strutturale della propria crescita che non potrà mancare di influenzare il resto dell’economia mondiale. Confindustria prevede anche il danno in termini di crescita futura che verrà dallo sgonfiamento della corsa cinese se dovesse scendere al 4%
Certamente anche se molto meno esposta di altri Paesi anche l’Italia soffrirebbe in termini di crescita.
E d’altronde è tutta la crescita mondiale che rispetto agli anni scorsi appare minore, da una media del 5% del 2008, ora si prevede che sarà del 3,9% circa, e la responsabilità maggiore per questa decelerazione è dei Paesi in via di sviluppo
Si tratta di un fatto strutturale, che coinvolge un rallentamento demografico anche nei Paesi emergenti, con la crescita della popolazione attiva tra i 15-64 anni che si ridurrà dal +1,5% al +0,9% dei prossimi anni, sia per le minori nascite che soprattutto per l’invecchiamento della popolazione.
Inoltre gli investimenti sono calati ovunque e non potranno ripartire allo stesso ritmo del periodo precedente la crisi globale, e gli incrementi di produttività dei Paesi emergenti stanno diminuendo, in parte per motivi anche naturali poichè questi Paesi si stanno avvicinando alla frontiera tecnologica, mentre nei Paesi più avanzati ormai la quota di popolazione con istruzione superiore è così ampia che non è facile ottenere aumenti di competitività solo investendo in istruzione.
Tutte queste considerazioni portano a una previsione sulle dinamiche del commercio mondiale certamente inferiori alle precedenti stime. Per esempio il Centro Studi di Confindustria pensa che a fine 2015 la crescita del commercio mondiale sarà solo del 1,5%, rispetto al 3% che si stimava ad aprile-maggio, e del 3,6% nel 2016, rispetto al 4,4% di previsione di pochi mesi fa.
E’ un “new normal” cui ci si dovrà abituare
Crescita PIL: le insidie per l’Italia
L’Italia stessa per la prima volta da diverso tempo non potrà più basare la propria crescita sulle esportazioni, che saranno meno delle importazioni quest’anno e il prossimo, grazie all’aumento dei consumi.
Non è solo questo però il pericolo per l’Italia.
Confindustria sottolinea come il costo del lavoro per unità di prodotto, ovvero una misura della produttività del sistema, nel nostro Paese sia cresciuto più che altrove:
+19% dal 2007 a oggi, contro uno 0 della Spagna, un +12,5% della Francia e un +11% della Germania, che però avevano avuto dei cali tra il 2000 e il 2007.
La competitività rimane quindi un nostro problema, a maggior ragione se si pretendono aumenti dell’occupazione in concomitanza di una crescita economica flebile e con salari in salita, come è il caso del nostro Paese, complice l’inflazione molto bassa
D’altra parte l’Italia ha ancora da raggiungere alcuni obiettivi di base, come recuperare dei livelli che aveva raggiunto prima delle crisi e che ancora sono molto lontani, basti pensare che a livello di PIL pro-capite siamo tornati al livello del 1997, mentre per il PIL totale a quello del 2000
Solo con una crescita più sostenuta non saremo costretti a scegliere se aumentare l’occupazione, o far crescere i salari, o aumentare la produttività, sapendo che alle condizioni attuali sarebbe come volere la botte piena e la moglie ubriaca