“Marcello si sente un sequestrato”, con queste parole Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, descrive al Corriere della Sera lo stato d’animo di Marcello Dell’Utri, detenuto da 18 mesi nel carcere di massima sicurezza di Parma, lo stesso dove si trova Totò Riina. “Finora si sentiva un carcerato”, continua Confalonieri, spiegando come questa nuova condizione mentale dell’amico sia dovuta al caso Contrada: “Anche per Marcello è così, anche lui ha subito una condanna per fatti antecedenti all’introduzione della norma. Perciò va fatta giustizia. E mi auguro che il suo caso venga affrontato senza guardare a Dell’Utri come all’amico di Silvio Berlusconi, come al politico. Qui non c’entrano le toghe rosse, non c’entra la politica. Anzi, la polemica politica deve restare fuori da questa storia: questo è un caso di giustizia che va risolto il prima possibile”.
Perchè il “Caso Contrada” è un precedente importante?
L’ex senatore di Forza Italia è stato condannato a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, ma potrebbe appellarsi alla decisione arrivata direttamente dalla Corte di Strasburgo, secondo la quale la condanna di Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, sostituito nel 2007 dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna) dovrebbe considerarsi nulla. Questo precedente potrebbe essere fondamentale perché, come Contrada, anche Dell’Utri sarebbe stato giudicato colpevole per un reato commesso tra il 1974 e il 1992, periodo durante il quale il reato di associazione mafiosa non era ancora, secondo i giudici della Corte Europea, sufficientemente chiaro.
Secondo la sentenza decisiva della Corte di Cassazione, Dell’Utri è stato il collante strategico nel legame tra Berlusconi e Cosa Nostra. La fattispecie del reato di associazione mafiosa contestato sia a Dell’Utri che a Contrada, però, sarebbe stato eccepito dalla Cassazione per la prima volta in modo compiuto solo nel 1994. La Corte di Strasburgo si è appellata al principio di nulla poena sine lege, contenuto sia nell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti umani che nell’art. 25 della Costituzione Italiana (“nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato al momento della sua commissione”), sottolineando come il reato imputato sia stato oggetto di evoluzione giurisprudenziale fin dalla fine degli anni ’80, consolidandosi come fattispecie propria e specifica solo nel 1994.
Per queste ragioni la Corte Europea ha respinto pochi giorni fa il ricorso dello Stato Italiano contro la sentenza formulata dalla Cedu il 14 aprile scorso e chiede all’Italia di recepire l’annullamento della condanna di Bruno Contrada e di risarcirlo dei danni morali.
La strada è stata battuta, ora sta ai legali di Dell’Utri cercare di imboccarla.
Irene Masala