L’Italia è il Paese simbolo del lavoro nero in Europa, lo sapevamo già, ma vediamo quanto è grave la situazione oggi, nel 2015.
Una mappa affidabile dell’ economia sommersa in Europa ci dice che l’Italia è di fatto il Paese occidentale con una quota maggiore di lavoro irregolare, ed è superato solo dalle economie balcaniche
Molti obiettano, e non a torto, il peso della tassazione del lavoro come una delle cause del fenomeno, tuttavia vediamo che vi sono Paesi come Germania, Austria, Belgio, che tassano decisamente d più ma sono colpiti dal lavoro nero in misuro minore
Le ragioni sono quindi soprattutto intrinseche, dovuti all’abnorme livello di corruzione e a quello invece molto ridotto della produttività di moltissime aziende, spesso piccole e micro. Vediamo però la cosa più importante, i numeri.
Lavoro nero, la realtà che emerge dalle ispezioni
La Fondazione Studi dell’ordine dei consulenti del lavoro ha pubblicato il risultato dell’attività di monitoraggio del 2014 e del primo semestre 2015.
Sono 221.476 le aziende ispezionate da Ministero del Lavoro, Inps e Inail, e sono stati scoperti 77.387 rapporti di lavoro non denunciati. Ovvero il 34,94%. Nel primo semestre 2015 è andata un po’ meglio, ma su 106.849 imprese ispezionate sono stati individuati circa 31.394 lavoratori totalmente in nero, ossia il 29,38%.
In media ogni tre aziende ispezionate si scopre un lavoratore totalmente non registrato.
Considerando le 6 milioni di imprese iscritte alla Camere di Commercio e l’altro milione di non iscritte, si stima che siano 2,1 milioni le persone in nero.
Considerando le 241 giornate lavorative in un anno e un compenso medio giornaliero di 86,8€, è stato calcolato che il mancato gettito previdenziale è stato di 14,6 miliardi, quello fiscale di 9,3, e quello INAIL di 1,2.
In totale 25,1 miliardi.
Naturalmente questa è una interpretazione molto rigida e meccanica, che ipotizza poche variazioni all’interno del mondo del lavoro, mentre sappiamo bene che la media dei salari delle professioni più colpite dal lavoro nero (costruzioni, agricoltura, commercio al minuto), è molto più bassa.
E’ quindi intuibile che la cifra di 25 miliardi debba essere molto probabilmente diminuita.
Altri dati provengono anche dal Ministero del Lavoro, nei primi 6 mesi del 2015: come riporta il Fatto Quotidiano sono state effettuati quasi 76 mila controlli, che hanno portato alla scoperta di infrazioni per il 59% dei casi, quindi per più di 40 mila aziende.
Naturalmente non tutte le infrazioni riguardano lavoratori in nero, questi sono stati circa 18 mila. Il che corrisponderebbe, fatte le debite proporzioni, a circa 1 milione e 420 mila lavoratori totali irregolari.
Anche le ispezioni di INPS e INAIL nello stesso lasso di tempo hanno trovato irregolarità notevoli: 9500 dipendenti in nero su 21 mila controlli per l’INPS, e 3700 su 10 mila controlli per l’INAIL.
In effetti a fare i calcoli sulle proporzioni nel caso dell’INPS si raggiungerebbero quasi i 3 milioni di lavoratori in nero.
Quindi la stima iniziale di 2 milioni è certamente ragionevole.
Lavoro Nero, le enormi differenze tra Nord e Sud
Tuttavia mai come in questo caso stiamo facendo la cosiddetta “media del pollo”, poichè le differenze tra le regioni settentrionali e quelle meridionali sono qui molto maggiori di quelle che pur molto forti esistono per le altre dinamiche economiche.
Lavoce ha riportato in particolare come è cambiato il fenomeno durante gli anni della grande recessione. Ebbene, mentre tra il 2008 e il 2012 il lavoro nero è sceso, anche di molto, per esempio il 14% in Lombardia, al Centronord, al Sud si è avuto in aumento. Tutto questo mentre in tutta Italia, e soprattutto al Sud, l’occupazione regolare calava.
Vediamo di seguito le dinamiche:
Al Sud si è avuto il maggior calo di occupazione, e allo stesso tempo un aumento del 10% dell’occupazione irregolare.
Perchè? Al Centro Nord il ricorso al lavoro nero è di tipo “intensivo”, ovvero viene effettuato per rendere possibile un aumento di produzione, magari nelle fasi di picco, con ore di lavoro maggiorate e non registrate, straordinari in nero quindi, o lavoratori aggiuntivi a chiamata, ed è strettamente legato, e non alternativo, al lavoro regolare, è effettuato dalle stesse aziende che svolgono una attività trasparente, oppure dai loro terzisti.
Al Centro Sud si tratta di una applicazione estensiva, in alcuni campi, come l’agricoltura e le costruzioni, in cui i margini sono bassi e in discesa, e in cui intere aziende sono completamente in nero, e il cui numero anzi aumenta quando per la crisi economica diventa una strategia di sopravvivenza in un tessuto economico molto più fragile.
Questi cambiamenti durante la grande crisi hanno comunque aumentato l’incidenza del lavoro irregolare, soprattutto al Sud. La CGIA di Mestre calcola che siano diventati 185 mila i lavoratori in nero nella sola Calabria, con il 18% del PIL che rimane completamente sommerso.
La stessa CGIA calcola che siano addirittura 42,7 i miliardi mancanti all’erario, più di 700€ per abitante.
E’ probabilmente una stima estrema, ma interessante è appunto la discrepanza tra Nord e Sud: la Lombardia è responsabile solo per il 4,5% di questa evasione, anche se costituisce un 20% del PIL nazionale.