La storia di Meriam è di quelle che fanno accapponare la pelle. Ma non è nuova. Questa volta è il Sudan, ma storie come la sua sono una costante nei paesi dell’integralismo religioso e, spesso, sono usate politicamente per attirare sul paese le critiche internazionali e mettere in difficoltà il potere. La storia di Meriam è un classico e ricorda da vicino quella di Safiya che dieci anni fa, nel nord della Nigeria, fu condannata a morte tramite lapidazione per adulterio. In sostanza perchè aveva avuto un figlio fuori dal matrimonio. Su Safiya e con Safiya scrissi un libro che oggi è disponibile come e-book. Leggere la sua storia aiuta a capire quella di Meriam che, come Safiya, alla fine non dovrebbe essere condannata a morte. Meriam è stata condannata a morte per avere rinnegato la fede musulmana. Per la legge coranica si tratta di apostasia. Adesso è in attesa di un nuovo processo ma nel frattempo è tenuta in cella con un figlio piccolo.
Meriam, 27 anni, è un giovane medico del Sudan, con una madre etiope ortodossa e il padre musulmano. È stata cresciuta come cristiana dalla mamma, dopo che il padre era andato via di casa. Ma per il governo il fatto di essere figlia di un musulmano la rendeva automaticamente della stessa religione. Qualche anno fa ha sposato un cristiano del Sud Sudan. Ha avuto un figlio, ora di due anni. Non sapeva che per la legge sudanese il matrimonio di una musulmana con un non musulmano non è valido. È stata arrestata per adulterio, cioè per rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Al processo ha negato di essersi convertita: «Sono stata sempre cristiana». Ma non ha convinto il giudice. Questi l’ha alla fine condannata a 100 frustate per l’accusa di adulterio e all’impiccagione per apostasia, cioè per aver rinnegato l’islam, appunto. La condanna, secondo la legge coranica, sarà eseguita fra due anni, per dare modo alla donna di partorire e allattare il secondo figlio.
Raffaele Masto