Olanda: se non parli la lingua delle tue dipendenti le autorità locali non ti concedono una “vetrina” nella zona “a luci rosse” di Amsterdam. Anche la Suprema Corte di Giustizia dell’Ue è d’accordo: la misura è necessaria per contrastare la tratta di esseri umani.
Olanda: la controversia sulle “vetrine”
I “bordelli” in Olanda sono legali dal 1815 e dal 1996 sono sottoposti a tassazione. La loro regolamentazione è affidata alle autorità locali. Da alcuni anni, le stesse autorità stanno provando a intensificare il contrasto alla tratta di esseri umani e relativi abusi.
Per questo motivo, recentemente, un proprietario di diversi spazi dedicati alla prostituzione nel “red light district” di Amsterdam si è visto rifiutare il “rinnovo del contratto” dalla commissione che gestisce le assegnazioni. Il motivo è che questi non parla né ungherese né bulgaro, ovvero le lingue madri delle sue dipendenti. Si stima che i tre quarti delle “lavoratrici del sesso” di Amsterdam arrivino dall’Europa dell’est, dall’Africa e dall’Asia (il resto è olandese).
Olanda: l’intervento della Corte Europea
Non conoscere la loro lingua non gli permetterebbe – secondo la commissione – di accertarsi se le stesse siano state vittime di abusi. Al proprietario non è bastato nemmeno assicurare che le comunicazioni con le dipendenti (almeno con quelle che non conoscono l’olandese o l’inglese) avverranno solo in presenza di un interprete. Infatti, giovedì ha dato ragione alle autorità di Amsterdam anche la Corte Suprema di Giustizia dell’Ue. Nessun comportamento “discriminatorio”, “sproporzionato” o contrario alle normative che regolano il mercato sul territorio nazionale hanno detto i giudici che, inoltre, hanno precisato come le istanze dei proprietari “sottostanno alle pressanti questioni di interesse pubblico”.