Sintomi d’inverno per l’Europa: i dati sul prodotto interno lordo rilasciati in settimana non lasciano intendere che la ripresa dalla pluriennale crisi sarà cosa facile. Il PIL dell’Eurozona è salito di un misero 0,2 per cento contro attese già basse dello 0,4 per cento. Uno dei dati peggiori (e forse il più deludente) è quello dell’Italia, che ha sperimentato nell’ultimo trimestre una decrescita dello 0,1 per cento, beffando le attese che speravano in una crescita dello 0,1.
L’Italia resta quindi aggrappata alla zavorra: dopo nove trimestri consecutivi di recessione, da tre il Belpaese resta ferma intorno allo zero per cento, potenzialmente aggravando le possibilità di recupero. Si prospetta un deterioramento dei conti pubblici, cui sarà certamente di nocumento una crescita inferiore alle attese (e che allo stato attuale delle cose potrebbe essere più vicina allo zero che all’uno per cento), ma soprattutto la preoccupazione principale concerne il mercato del lavoro.
Un’economia pesante e arrugginita come quella italiana non permetterà un veloce recupero di posti di lavoro persi, facendo aumentare coloro che si trovano in una situazione di disoccupazione di lungo periodo. Restare inattivi per un lungo periodo di tempo significa disperdere il proprio capitale umano, cosa che non solo rende più difficile il rientro sul mercato, probabilmente anche a salari inferiori, ma pure abbattere la crescita potenziale del Paese.
Inoltre una disoccupazione diffusa e un minore potere d’acquisto in potenza deprimono la domanda interna, dando combustibile al motore di raffreddamento della crescita dei prezzi, aumentando il rischio di infilarsi in una ancor più pericolosa spirale deflazionistica.
Per quanto l’Europa abbia vistose colpe nella gestione della crisi, la politica continentale è meno responsabile dei guai dell’Italia rispetto ad altri Paesi della periferia, come Irlanda e Spagna: l’Italia non gode di un periodo di crescita “sana” da diversi decenni e l’ultimo periodo al galoppo risale al periodo in cui i governi dopavano il cavallo a colpi di debito pubblico (e tangenti), ovvero gli anni Ottanta. Il resto del periodo fino ad oggi altro non è che una lunga e dolorosa stagnazione da cui si potrà uscire solo sbloccando l’economia uccidendo quei tumori fatti di inefficienti caste e corporazioni pubbliche e private che rendono l’Italia un pessimo Paese per investire e lavorare.
L’Europa deve dare una mano, ma appare difficile che qualcosa si muova nei prossimi mesi: ci vorrà del tempo per digerire il prossimo risultato elettorale, e l’Europarlamento rischia di essere ancor meno efficiente del solito a causa della crescita dei partiti euroscettici. C’è invece bisogno di un’Europa che funzioni per evitare che i piccoli Paesi che la compongono vengano sopraffatti dall’emergere di nuovi giganti in giro per il globo.
L’unica speranza nel breve termine è nelle mani di Mario Draghi e dei colleghi in BCE: la situazione inflazionistica resta pericolosa, il FMI ha visto aumentare il pericolo che l’area piombi in deflazione e l’Eurotower sembra essere intenzionata a muovere nel corso del prossimo meeting di giugno a patto che, come sappiamo, le previsioni dello staff BCE di prossima pubblicazione mostrino che la realtà si è disancorata dall’(ottimistico) outlook precedente.
L’agenda macroeconomica prevede per martedì gli ordini all’industria italiana, che avevano mostrato in passato i germi di quella che poi sarebbero diventati i pessimi dati sulla crescita del PIL. Si attende comunque un deciso ritorno alla crescita.
Mercoledì attenderemo eventuali novità per quanto riguarda la politica monetaria del Giappone, mentre giovedì verranno resi noti i dati preliminari relativi all’attività degli indici dei direttori degli acquisti, un buon indicatore predittivo della futura attività economica: il terziario europeo dovrebbe mostrare una conferma dei dati precedenti sopra la soglia dei 50 punti, segnalando una possibile futura espansione. I sussidi di disoccupazione statunitensi, dopo essere scesi sotto la soglia dei 300mila dopo molti mesi, dovrebbero ritornarvi lievemente al di sopra secondo il consensus. Atteso poi un miglioramento del mercato immobiliare a stelle e strisce rispetto al mese precedente.
Venerdì sapremo se il PIL tedesco vedrà confermata la crescita dello 0,8 per cento nel trimestre registrata nella rilevazione preliminare, mentre le vendite al dettaglio italiane dovrebbero ritornare in crescita di una piccola frazione di punto dopo il calo del mese precedente.