Puntuali come ogni anno sono state pubblicate le classifiche della competitività globale del World Economico Forum, la stessa istituzione che tiene ogni anno il celebre meeting di Davos, e si occupa però anche di analisi sulle economie dei Paesi, sia avanzati sia emergenti.
L’Italia recupera 9 posizioni in competitività rispetto allo scorso anno, tornando quasi ai livelli del 2007
Una delle pubblicazioni più celebri è quella relativa alla competitività globale di ogni Paese, ovvero quanto sia conveniente “fare business” in un Paese. E la classifica risultante è quella che più spesso viene commentata ed entra nel dibattito non solo economico ma soprattutto politico di un Paese.
Vediamo quindi quella relativa al 2015-2016:
Come vediamo l’Italia è al 43esimo posto, tra gli ultimi del settore Economie Avanzate, davanti solo a Malta, Slovacchia, Ungheria, Grecia.
Veniamo superati anche da Paesi emergenti asiatici come l’Indonesia, la Malesia, la Thailandia, nonchè da Paesi dell’ex URSS come Kazakhstan o Azerbaijan.
Nei primi posti rimane solido il podio più alto per la Svizzera, ma anche il secondo e il terzo posto per Singapore ed USA, salgono Germania e Paesi Bassi, mentre declina la Finlandia.
L’Italia però segna un miglioramento di 6 punti rispetto al 2014-2015, un balzo non da poco che ci fa superare alcuni Paesi che ci erano davanti, come Malta, Panama, Turchia, Mauritius, Lettonia, Oman.
Torniamo così quali al livello del 2012-2013 quando eravamo al 42esimo posto.
Sembra banale dirlo ma la crisi globale ha colpito duro, e le conseguenze che ha innescato non sono state solo da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, con i Paesi che come l’Italia l’hanno maggiormente sofferta che sono anche quelli che hanno realizzato performances peggiori nella competitività globale:
Come i vede tra i Paesi a reddito più alto dell’OCSE le 3 economie meno competitive, Italia, Ungheria, Grecia, hanno avuto un calo del reddito significativo, al contrario di USA, Svizzera e Danimarca, in testa come competitività.
Simili grandi differenze si ritrovano tra gli altri Paesi ad altro reddito, mentre tra quelli a basso e medio reddito le differenze di crescita tra i Paesi più e meno competitivi sono meno rilevanti, sono altri i fattori che determinano la competitività in quel caso.
Nel nostro invece il legame con la crescita è più evidente, e si dovrà fare i conti con la realtà, di cui del resto abbiamo parlato occupandoci dei profitti, che vede un progressivo calo della crescita mondiale che appare strutturale, dovuto sia all’invecchiamento della popolazione che al rallentamento dell’impatto delle nuove tecnologie sull’aumento della produttività. Qui vediamo la differenza tra le ultime due decadi nell’aumento della produttività nei Paesi più grandi e nelle aree economiche più rappresentative. Solo l’India ha avuto di fatto una accelerazione nell’aumento della competitività e della produttività
L’Italia perde competitività per inefficienza del capitale umano, corruzione e burocrazia
L’Italia in questo contesto che già è di per sè penalizzante, si pensi all’invecchiamento demografico che fa del nostro Paesi uno dei più anziani al mondo, soffre di alcune lacune che la fanno rimanere indietro rispetto ai competitor più prossimi.
Cominciamo a dire che tra queste lacune non ci sono quasi più, e la cosa non riguarda solo il nostro Paese, le rigidità nel mondo del lavoro, che nel corso degli anni sono state molto allentate dalle riforme. Di solito si vede come il report del WEF evidenzia che queste regolamentazioni restrittive sono man mano diventate un problema sempre meno importante agli occhi degli operatori economici intervistati, ed in particolare nel Sud Europa, quindi in Italia e Spagna.
Viceversa un problema sempre più pressante è diventato l‘accesso al credito e al sistema finanziario, si veda il balzo del punteggio relativo a questo problema tra il 2007 e il 2009, con la grande recessione, problema che poi è rimasto presente in modo stabile.
Tuttavia peculiarità dell’Italia è invece la carenza di una efficienza del capitale umano. Di seguito è evidenziato molto bene come tra 140 Paesi l’Italia si pone in alcuni indicatori. In alcuni casi si pone ben indietro anche a Paesi a basso reddito.
In particolare è 132esima nella qualità della formazione, più indietro di Spagna e Grecia, ha una posizione mediocre nella qualità dell’insegnamento, ma la situazione peggiora quando si passa dall’istruzione formale al mondo del lavoro. Certamente l’Italia è in fondo alle classifiche anche in indicatori in cui tipicamente economie molto protettive verso i lavoratori , come Francia, Germania, Giappone, hanno punteggi bassi, come quello della flessibilità del salario e le pratiche di assunzione e licenziamento, tuttavia questi Paesi compensano con una formazione molto avanzata, cosa che non accade in Italia, che per esempio si distingue per essere agli ultimi posti per il collegamento tra salario e produttività, e per la collaborazione poco presente con i sindacati.
Siamo anche ultimi tra i Paesi avanzati nella capacità di trattenere talenti o di attrarne
Il World Economic Forum parlando dell’Italia riconosce gli sforzi fatti con le riforme, nel campo del mercato del lavoro in particolare, e nel favorire l’innovazione delle imprese, e vede come un fattore positivo il ritorno alla crescita nel 2015, ma sottolinea gli enormi problemi in alcuni campi in cui siamo tra gli ultimi posti:
– Liberalizzazione e libertà da eccessiva regolamentazione, 132esimo posto
– Efficienza del mercato del lavoro, siamo ancora al 126esimo posto
– Efficienza finanziaria delle imprese, legata all’accesso al credito, 116esimo posto
– Debito pubblico, 136esimo posto.
Oltre naturalmente alla corruzione.
Vediamo di seguito il prospetto dedicato proprio all’Italia in cui si sottolinea la crescita inferiore agli altri Paesi avanzati e i posizionamenti in classifica molto diversi, molto bassi proprio per gli indicatori menzionati.
Volendo guardare i due estremi siamo al quarto posto mondiale per sviluppo dei distretti economici, ma al penultimo per efficienza del sistema giudiziario nel risolvere vertenze legali, e al terzultimo per il peso della regolamentazione statale.