E alla fine anche l’articolo 10 è stato votato senza problemi, nonostante il voto segreto in agguato. La norma è passata in Senato con 165 sì e 107 no. In mattinata era passato l’articolo 7 quello relativo ai titoli di ammissione dei componenti del Senato. Lì i sì erano stati uno in più. Non è servita a nulla la “resistenza passiva” adottata dalle opposizioni sull’articolo 10 del ddl Boschi. Anche perché si trattava più di una manifestazione politica, più che di una reale tattica parlamentare. I numeri sono infatti dalla parte del governo, blindato dai voti dei verdiniani e da una minoranza Pd ai ferri corti con i vertici del partito.
Il Verdini in versione “cantante” è stato un boccone domenicale difficile da digerire per Bersani e compagnia. Ma anche dalle parti di Palazzo Chigi la performance del leader di Ala non è piaciuta. Tanto che il diretto interessato, almeno secondo quanto riporta La Stampa, è stato”garbatamente informato che da lui si gradirebbe una maggiore misura”.
Il rischio è quello di riaccendere i focolai di rivolta interni al Pd. E di disorientare l’elettorato di centrosinistra che non ama Verdini (come ha evidenziato un sondaggio di Euromedia). “Un eccesso di contiguità con Verdini e con personaggi a lui simili paradossalmente rischia di costarci in termini di consenso elettorale assai più di una ipotetica scissione a sinistra capeggiata da Bersani e compagni” confessa un renziano al quotidiano torinese.
Il compito del premier, come spiega Ezio Mauro nel suo editoriale su Repubblica, sarà dunque quello di “definire il profilo del Pd – di cui è legittimo che dia nei fatti la sua interpretazione – e in base a questo profilo definire il cammino che resta della legislatura, del programma e delle alleanze”.